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Dentro al segno fino alla radice

Ci sono quegli appuntamenti che non si possono mancare. Se avete un qualche interesse per l’arte o semplicemente amate il piacere di tracciare segni sulla carta, a palazzo Poli (Fontana di Trevi) dovete andarci. Se non proprio di corsa, senza rimandare troppo perché la mostra di Hans Hartung “La radice del segno” chiuderà, salvo proroghe, il 2 marzo prossimo.

Amatissimo in Francia il tedesco Hartung, apprezzato dal mercato americano e internazionale, mai abbastanza conosciuto in Italia. Questa mostra dell’Istituto nazionale per la Grafica sembra fatta apposta per aiutare a entrare in sintonia con quest’originale “pittore incisore” (peintre graveur), straordinario interprete e ricercatore delle infinite possibilità del segno grafico e del connubio con la pittura.

È un rapporto carnale quello di Hans con l’opera, un corpo a corpo con il supporto destinato ad accogliere i suoi tratti; che sia tavola, tela, lasta di zinco, rame, cartone, ferro o quant’altro. Quando incide una superficie, libera un’energia che noi poi avvertiamo guardando, che percepiamo nella vibrazione che risulta dall’incontro-scontro tra colore e graffito. Come in quest’unica foto.

Unica perché null’altro voglio anticiparvi sulle opere che vedrete: che il rapporto sia fatto di scoperta intima e soggettività.

Aggiungo solo un frammento di ricordo, carico di emozione spero contagiosa. Alberto Burri, uomo prima ancora che artista tra i più silenziosi, non concettualizzava mai né la sua opera né quella degli altri. Però di Hartung mi disse: “Lui graffia a evviva!”. Ho parlato una sola volta con Burri, ed è una fortuna indicibile perché pochissimi hanno avuto questo privilegio. Successe nell’essiccatoio del tabacco di Città di Castello, allora suo studio, oggi Museo. Ero molto giovane, solo a distanza di più di quarant’anni ho capito davvero il senso di quel commento di Burri, guardando un prezioso video d’epoca in una saletta della mostra (attenzione, che è piuttosto nascosto il locale e può sfuggirvi!).

Dura una quindicina di minuti il video, senza parole e senza colonna sonora: solo Hartung al lavoro, ripreso da una sapiente regia che alterna segni, gesti e sguardi dell’artista. Nei momenti di maggiore tensione compositiva, Hartung incide, disegna, dipinge, graffia il supporto con gesti simmetrici di entrambe le mani che partono dal basso e vanno ripetutamente, ossessivamente, con forza incontenibile verso l’alto. Come alzasse le braccia al cielo in un gesto liberatorio, come urlare urrà. Come urlare evviva. Hartung “graffia a evviva!”, appunto.

Andateci.

Marco Stancati | Bake Agency

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