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Jersey Boys

I Four Seaons ritornano in classifica nell’ultimo film di Clint Eastwood “Jersey Boys”.

Impossibile dimenticare successi come “Big Girls Don’t Cry”, “Walk Like a Man”, “Dawn”, “Rag Doll”, “Bye Bye Baby”, “Who Loves You”, che Eastwood ha voluto raccontare in un film biografico, che ripercorre tutte le tappe dei Four Seasons, dalla nascita della band, al successo, fino al declino inesorabile.

Le scenografie e il complesso scenico, nella sua interezza, si adattano all’opera d’ispirazione della pellicola: l’omonimo Jersey Boys – musical di Broadway -, con costruzioni volutamente teatrali e costumi dalla vivace varietà cromatica.

Tuttavia, il film non è un musical, e nemmeno una biografia pura e semplice, diciamo dunque che si tratta di un omaggio di Clint a un pezzo di storia musicale.

Focalizziamoci, adesso, sulla struttura filmica. La prima parte del film è ricca di forza narrativa e carica ritmica. Ci si aspetterebbe, perciò, un altro grande capolavoro: d’altra parte la firma del regista è una garanzia. Purtroppo, ad un certo punto, qualcosa si inceppa e un pezzo dell’ingranaggio si rompe: la narrazione si rallenta vertiginosamente e i personaggi perdono il loro carisma iniziale. Ma andiamo per gradi. La prima tappa narrativa ci introduce al punto di vista filmico: a turno, i membri della band guardano in macchina, raccontando parte della vicenda in corso, con attenzione particolare alla storia di Frank Valli, voce della band.

La dinamica è molto vivace, costruita con intelligente propensione all’ironico, perciò fluida e intrigante. Il film comincia ad accogliere momenti biografici a parentesi sonore: le canzoni del gruppo sono alla base della soundtrack, ma anche parte viva del film.

Il discorso narrativo inizia a precipitare sulla soglia del primo tempo: i salti temporali diventano troppo ampi e imprevedibili; alcuni personaggi invecchiano e altri restano miracolosamente giovani, cambiano al massimo pettinatura o look. I tratti psicologici, così ben analizzati nel primo segmento, pian piano,  si appiattiscono approdando alla banalità; perciò alcuni dialoghi risultano posticci e, a volte, smielati. Ma facciamo un esempio pratico: se pochi istanti prima Valli era un novello sposo, dopo poche battute del film, ha ben tre figlie, di cui una quasi maggiorenne; e in tutto questo, Frank non dimostra mai più di 20 anni. In concretezza, lo spettatore perde, di sequenza in sequenza, il contatto empatico, con i membri della band, che si era instaurato inizialmente.

Giunti alle somme finali, il regista ci propone i protagonisti invecchiati, in modo a dir poco, ridicolo, che si rivolgono alla camera, uno a uno e rispondono a ipotetiche domande poste dal regista: i dialoghi si spingono alle lunghe, creando l’attesa spasmodica della fine.

Giungono finalmente i titoli di coda, e gli affezionati di Eastwood, giustificano il grande maestro: d’altra parte, prima o poi, tutti si permettono un margine d’errore.

Federica Bello


 

Cast:
John Lloyd Young, Erich Bergen, Vincent Piazza, Michael Lomenda, Christopher Walken, Freya Tingley, Kathrine Narducci, Francesca Eastwood

Regia:
Clint Eastwood

Distribuzione:
Warner Bros.

Durata:
134′

Produzione:
GK Films, Malpaso Productions, Warner Bros., RatPac-Dune Entertainment

Sceneggiatura:
Rick Elice, John Logan

Fotografia:
Tom Stern

Scenografie:
James J. Murakami

Montaggio:
Joel Cox, Gary Roach

Costumi:
Deborah Hopper

Musiche:
Bob Gaudio

 

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