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The Knick, medical drama d’autore

La seconda giornata festivaliera si apre con i primi due episodi della nuova serie tv prodotta dal canale americano Cinemax (di proprietà dell’HBO), “The Knick”, e diretta da Steven Soderbergh. Per il regista premio Oscar, che ha firmato pellicole come “Sesso, bugie e videotape”, “Erin Brockovich”, “Traffic” e “Ocean’s eleven” non è la prima incursione nel mondo televisivo, nel 2013, infatti, porta sul piccolo schermo la storia dell’eccentrico pianista e showman Liberace interpretato da uno straordinario Michael Douglas.

La tv, si sa, è roba per grandi, non deve sorprende allora che un festival cinematografico inserisca all’interno produzioni seriali destinate ad alti mercati, come d’altronde è successo anche per l’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia con la serie HBO “Olive Kitteridge”. Difficile davvero dire dove inizi uno e finisca l’altro.

Ecco, “The Knick” è un ritratto autoriale di un’epoca e di un paese in piena trasformazione, quell’America dei primi del Novecento in cui si avvitano le prime lampadine elettriche, in cui gli immigrati di un’Europa affamata e sudicia si riversano nelle strade o dentro bicchieri di pessimo bourbon. È l’epoca in cui si sezionano i maiali al posto dei cadaveri, in cui non esistono ancora gli antibiotici o la penicillina, in cui si opera in condizioni igieniche precarie davanti ad un pubblico di studiosi e filantropi come in un grande teatro. L’epoca del Knickerbocker Hospital di Harlem, New York.

La camera a spalla, nel perfetto stile di Soderbergh, ondeggia, trema, appanna la vista, lo sfondo dell’azione è quasi sempre volutamente fuori fuoco. Segue i personaggi, si appiccica alle loro facce e poi indugia sul sangue, sulle budella spappolate, sui punti di sutura, sugli aghi infilati tra le vertebre o tra le dita martoriate dei piedi. Lo fa senza concedere tregua allo spettatore, perché questo non è il solito medical drama, inaugurato negli anni Novanta con E.R. e arrivato fino alla sua versione Harmony con Grey’s Anatomy.

I medici di “The Knick” non sono belli, non sono eroici, non tengono la mano ai pazienti prima di una complicata operazione. Sono ombre inseguite dai loro personali demoni, la razza, il denaro, l’oppio, i debiti, l’ambizione.

Siamo il pubblico pagante di un circo, oltre il cui tendone le magie non sempre accadono, non c’è né tempo né grazia per accogliere i miracoli. La medicina 100 anni fa non era roba da Dottor House.

Anche in questo caso, la forza della serie risiede nella scrittura brillante che alterna humor nero a stralci di puro lirismo – tra gli sceneggiatori lo stesso Steven Katz di “L’ombra del vampiro” con Willem Dafoe – e nella costruzione neorealistica dei personaggi, intrepretati da uno stuolo di bravissimi attori, a partire dal protagonista Clive Owen, volto e massa del Dr. John Thackery, cocainomane, razzista e genio della chirurgia.

La serie di Soderbergh, che vedremo prossimamente in Italia su Sky Atlantic, conferma il nuovo corso e fuga ogni dubbio, semmai ce ne fosse bisogno, sulla forza estetica ed etica della narrazione seriale.

Il cinema oggi sembra inseguire i piccoli schermi, quelli della Rete e della tv, arranca mentre si vede sfuggire dalle mani autori, interpreti, molte idee e una libertà artistica che ricorda un certo cinema degli anni 60 e 70, brutto, sporco e terribilmente cattivo.

Per conoscere il programma della giornata visitate il sito

www.romacinemafest.it

 

Chiara Ribaldo

 

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