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120 anni di cinema!

“Il cinema è un’invenzione senza futuro” pare abbia detto con scarsa lungimiranza Louis-Jean Lumière all’indomani della prima proiezione pubblica al Grand Café del Boulevard des Capucines a Parigi. Il pubblico si sarebbe stancato presto di quelle ombre in movimento. È solo una meraviglia di fine secolo, pensava Louis, domani qualcun altro ne inventerà di nuove.

Invece è passato più di un secolo da quelle grigie vedute animate sulla fabbrica, 120 anni di trucchi, primi piani, campi lunghi, effetti speciali, suoni, parole, 120 anni di storie e facce.

Ha resistito a tutto, pur con qualche acciacco, il cinema, alle guerre, alle crisi economiche, alla censura, alle rivoluzioni culturali, ai nuovi linguaggi tecnologici.

Per ripercorrerne tutta la storia vi rimando a sua maestà Gian Piero Brunetta, qui trovate la mia personalissima lista dei 12 film davvero imperdibili, uno per ogni (circa) benedetto decennio di celluloide.

 

1)     1885 – L’arroseur arrosé. È la prima commedia della storia del cinema, il primo tentativo dei Lumière di mettere in scena una storia di finzione, pur nella sua estrema semplicità. Un ragazzo mette il suo piede sull’annaffiatore togliendolo solo quando il povero giardiniere ci mette la faccia per capire perché non arriva più l’acqua. A distanza di un secolo, fa ancora ridere tantissimo.

1904 – Viaggio attraverso l’impossibile. Forse il vero capolavoro di George Melies. 26 quadri che raccontano in pochi minuti l’incredibile viaggio di una stramba compagnia guidata dal professor Craziloff attraverso il cielo, lo spazio, il mare e, di nuovo, la terra. Seguito, diremmo oggi, o comunque profondamente ispirato dal Viaggio nella Luna di due anni prima, è il cinema della magia e dello stupore, la fantascienza che racconta il presente, imbevuto di ottimismo e speranza per il futuro.

 

2)     1915 – Nascita di una Nazione. Un’opera firmata David W. Griffith che racconta di un Sud oppresso dai nordisti e dagli schiavi e salvato dai valorosi soldati del Ku Klux Klan. Ancora oggi oggetto di critiche e polemiche, perché considerato (non a torto) un film profondamente razzista, questa pellicola è, in realtà, una pietra miliare nella storia del mezzo, ecco perché:

–         è il primo vero film narrativo;

–         è il primo lungometraggio, ben 190 minuti;

–         usa per la prima volta il montaggio alternato, mostrando all’incredulo spettatore cosa succede nello stesso momento in due posti diversi;

–         alcune scene di azione vengono girate in esterni e non nei teatri di posa;

–        inventa e formalizza l’espediente narrativo dell’“arrivano i nostri”, anche se i nostri sono in questo caso dei tizi incappucciati e l’uomo nero alla fine viene ucciso.

 

 

3)     1929 – L’uomo con la macchina da presa. “Io sono un occhio. Un occhio meccanico e sono in costante movimento”, il regista sovietico Dziga Vertov gira il manifesto del movimento Kinoglaz, esprimendo la superiorità del documentario rispetto al cinema di pura finzione. Parla al popolo, alla Russia, con una tecnica di ripresa e di montaggio talmente avanguardiste da essere considerate innovative persino oggi. E mentre al di là dell’Oceano, nasceva lo Studio System, lui e il fratello Mikhail Kaufman girano Mosca dall’alba al tramonto, in macchina, sopra i tetti, dentro le case, sui binari della ferrovia, mostrando continui salti di scena, scene al ralenti, carrellate, riprese oblique, primissimi piani, split screen, riprendendo se stessi mentre riprendono. Un capolavoro del cinema russo accompagnato nel tempo da splendide colonne sonore curate da numerosi artisti, da Michael Nyman a The Cinematic Orchestra, da Pierre Henry a Franco Battiato.

 

4)     1936 – Tempi Moderni. Affresco lucido e straordinario di una società schiacciata dalla crisi e da macchine spietate e in cui l’ingenuo Charlot si muove candido avvitando bulloni e danzando sui pattini. Il film, volutamente muto, eccetto degli inserti vocali mediati da apparecchiature come la radio o l’altoparlante, è tra i capolavori di Charlie Chaplin, consegnando all’immaginario collettivo scene uniche, come quella del povero operaio inghiottito dagli ingranaggi della fabbrica o quella in cui danza insieme alla monella dentro un grande magazzino completamente chiuso. Pura poesia in bianco e nero.

 

5)     1945 – Roma città aperta. “La storia del cinema ha due ere, una prima e una dopo Roma città aperta”, diceva così Otto Preminger e, forse, non sbagliava. Il film di Roberto Rossellini con una Anna Magnani dolente e bellissima e uno straordinario Aldo Fabrizi, è tra le opere più rappresentative del neorealismo italiano. “Francesco, Francesco”, grida Pina, mentre le SS portano via l’uomo che avrebbe dovuto sposare, le sparano davanti al figlio. Accadde davvero ad una donna romana, Teresa, mentre tentava di parlare al marito prigioniero dei tedeschi. Una scena che è un pugno allo stomaco.

 

6)     1955 – Gioventù Bruciata. Liberamente ispirato all’omonimo libro dello psichiatra Robert Lidner, il film diretto da Nicholas Ray racconta la ribellione interiore dei giovani contro il mondo immobile degli adulti, contro l’autorità nelle sue diverse forma (la legge, la famiglia, la scuola), esprime l’incomunicabilità tra padri e figli e la fragilità adolescenziale nascosta dietro la parvenza dei bulli “senza causa”. La pellicola di Ray contribuì a diffondere nel mondo il mito di James Dean morto quello stesso anno a soli 24 anni e introdusse sul grande schermo, insieme a “Fronte del porto” di Elia Kazan, la recitazione secondo il Metodo.  Era l’Actors Studio, bellezza.

https://www.youtube.com/watch?v=BQ4EgEG4TJI

 

7)     1967 – Il laureato. Trasgressivo, innovativo, pungente, complesso come ogni film di Mike Nichols, “Il laureato” inaugura, contemporaneamente a “Gangster Story”,  la Hollywood dei cattivi ragazzi, Scorsese, Coppola, Lumet. La relazione disfunzionale tra Benjamin, uno sconosciuto Dustin Hoffman, e la Signora Robinson, la bellezza glaciale di Anne Bancroft, sconvolge il mondo. Prima delle rivolte studentesche, Nichols coglie il moto di ribellione dei giovani borghesi, criticandone un certo conformismo, e riesce a racchiudere nell’ultima magnifica sequenza tutto lo smarrimento di una generazione irrequieta e confusa, la fuga di Benjamin ed Elaine, il loro sorriso e poi il primo piano su quegli occhi spaesati è memorabile come il tema musicale di Simon & Garfunkel.

 

 

8)     1975 – Quel pomeriggio di un giorno da cani.  Sonny e Sal (interpretati rispettivamente da Al Pacino e John Cazale) tentano di rapinare una banca a Brooklyn, ma falliscono miseramente, mentre intorno a loro si mobilita un circo chiassoso di giornalisti, poliziotti, curiosi. Dopo “Serpico”, Sidney Lumet gira una pellicola claustrofobica e feroce, un action sui generis in cui tutto accade tra le quattro mura di una banca. Cazale e Pacino improvvisano, inanellando una battuta dietro l’altra, con quel modo unico di recitare, quella caratterizzazione naturalista dei personaggi e il loro pesante carico di umanità. Tra pathos e ironia il film è una “bordata agli eterni totem americani”: il successo, il denaro, la fama.

 

9)     1985 – I Goonies. Un trio di autori che di per sé varrebbero un Oscar, Richard Donner, Chris Columbus e Steven Spielberg e un’avventura che ogni bambino o adolescente vorrebbe vivere almeno una volta nella vita. La caccia al tesoro, la fuga dai cattivi, i passaggi segreti, un ex vascello pieno d’oro, quei personaggi così strambi, Chunk, Data, Sloth, i Walsh, fanno dei Goonies una sorta di compagnia dell’anello ante – litteram. Un film che per chi, come me, era una bimba in quegli anni ha un valore sentimentale unico. A distanza di 30 anni, nell’ennesimo passaggio in tv ,mi fermo a guardarlo tutto d’un fiato dall’inizio alla fine.

 

 

10)  1999 – Matrix. Un insieme di filosofia, letteratura new age, manga, action movie e cultura cyberpunk, la pellicola dei fratelli Wachowski segna una fase di passaggio nel genere dello sci-fi, introducendo tecniche di ripresa ed effetti speciali unici, tra tutti una versione perfezionata del time-slice, il bullet time, l’effetto speciale che mostra ogni scena al rallentatore mentre l’inquadratura sembra muoversi alla velocità normale. Neo è Alice nel paese, virtuale, delle meraviglie, che salverà il mondo dalla brutale tirannia ad opere delle macchine.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Es2uYtSJh-Y

 

11) 2007 – La famiglia Savage. Questo piccolo, immenso film diretto da Tamara Jenkins e prodotto da Alexander Payne, ti resta attaccato alle ossa per giorni e poi resta vicino al cuore per sempre. John e Wendy sono due fratelli, due perdenti emotivamente alla deriva, costretti a prendersi cura del padre malato di demenza senile. Passando da una casa di riposo all’altra finiscono per conoscere se stessi e quel pezzo di famiglia di cui tentano a fatica di disfarsi. Il racconto della vecchiaia, della morte e della solitudine non concede spazio al melodramma, non ci sono lacrime facili in questa storia. È come guardare la vita, quell’incedere incerto, sospeso tra la noia e piccoli, brevi slanci di volontà. Sullo schermo due attori eccezionali, Laura Linney e Philip Seymour Hoffman, sofferente e magnifico. Manca.

 

 

12)  2014 – Boyhood. Fresco di nomination agli Oscar e di 3 Golden Globe, la pellicola di Richard Linklater è un esperimento narrativo, far coincidere il tempo della storia con quello della vita. Nel maggio del 2002 Linklater inizia a girare il film sul piccolo Mason e la sua famiglia, ogni anno per dodici anni, seguendo la reale crescita degli attori, dal giovane protagonista ai suoi genitori, Ethan Hwake e Patricia Arquette. Una celebrazione del cambiamento portata all’estremo, la registrazione del tempo che passa, del corpo che cresce e invecchia. È la vita, insomma, è il cinema.

 

 

 

Chiara Ribaldo

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