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PAROLE AL VENTO.
Professionista

Che cos’è un professionista? Il sostantivo ha alcuni significati che sembrano pacifici. Un lavoratore autonomo iscritto a un albo professionale; uno sportivo che viene meno al dettato olimpico di De Coubertin. Se lo decliniamo al femminile, emerge il sessismo che attanaglia il linguaggio: dire una professionista sottende a volte l’ironia triste verso il mestiere più antico del mondo.

Poi c’è l’uso che declina professionista quasi come fosse aggettivo, ammiccando ai valori della professionalità: serietà nello svolgere il proprio lavoro, competenza, capacità di comprenderne a fondo le varie difficoltà e risolverle con mestiere. Eppure c’è un retrogusto amaro, quando si dice di qualcuno che è un professionista, e non è solo quello del luogo comune,  con cui si definiva Pippo Baudo, cantato insieme agli altri da Lillo e Greg. Una certezza. Un po’ noioso, discutibile nei risultati, ma indiscutibile nella procedura.

Certo il professionista è contrapposto al dilettante, anche nello sport. È tecnicamente più preparato? Non necessariamente. Però ha la verità e la serietà di chi con una attività si guadagna da vivere, pur avendo perso il gusto di chi sceglie liberamente di occuparsi di qualcosa, di svolgere un’attività. Ecco il punto, quando qualcuno criticava la tv insopportabile e perbenista di Pippo Baudo, puntualmente usciva fuori che era un professionista. Lo stesso giochino – in tempi più recenti – ha funzionato con Bruno Vespa. Poi con Carlo Conti e Maria de Filippi.

In questi casi, cosa vuole salvare l’interlocutore che difende i padroni dell’etere contemporaneo? Forse sta dicendo soltanto che quella cosa lì, la tv di intrattenimento, si fa in quel modo, richiesto dal target, e che farla in quel modo non mette in discussione le capacità o il valore etico e umano di chi la fa, che semplicemente interpreta in modo indiscutibile le regole del gioco.

Quindi a ben vedere, il professionista è uno che non lo fa per passione, che non è mosso da altro che dal guadagno che ne ricava. Come un tassista o un netturbino. Per i quali però difficilmente si parla di professionisti e non solo per il loro contratto di lavoro, perché si esclude che ci sia anche chi lo fa con altri fini. E che dunque forse, alcuni mestieri, come la tv, si possono fare anche per passione civile, politica, artistica, o comunque con altri fini che non il guadagno.

Come anche un omicidio o la guerra. Infatti anche in questi casi, il professionista che non uccide per fini propri, ma per fini altrui ha una qualifica che ne specifica la scelta. Si chiama sicario nel caso agisca da solo, mercenario in caso si impegni con un esercito in una vera e propria guerra: sterilizzare un’attività rispetto a ogni altro fine oltre quello del profitto rende quindi qualcuno un professionista, ma pensare che questo incida sulla sua tempra morale o sulle sue qualità umane è da dilettanti. Scegliete voi da che parte stare.

 

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