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Tutto il mondo è burla

Siamo negli anni Novanta. Gorbaciov sbadiglia di ottiche intercambiabili di là da venire, visioni senza pareti o soffitti viola per una parte di mondo perimetrato in agglomerati di pensiero vacillanti ma senza via di scampo. I mercanti di vista avranno vita breve? La parola chiave è trasparenza, glasnost.

Una voglia di colore viola in testa caparbia quanto le sue opere di demolizione di muraglie reali e ostruzionismi del pensiero. In quegli anni, la sensazione che qualcosa stesse cambiando, un potere donato più che al popolo, all’immaginazione del popolo, era concreta e tangibile.

Come credibile sembrava una lettura più critica dei mezzi d’informazione, che al di là del millantato pluralismo delle sue segmentazioni proporzionali rappresentavano in realtà una parte del tutto, modificando coscienze nella rilevanza selettiva delle proprie messe a fuoco.

Un punto di vista di parte come poteva esserlo quello di una Azienda, una propaganda che dalla guerra arriva alla mutanda pur di convincerti che devi indossarla.

Negli anni ’90 la coscienza critica sembrava aver acceso un nuovo canale e il trusting nei sistemi d’informazione iniziava a fare cilecca riducendo la potenza di tiro del trasmettitore, in termini di target e percezione. Potere all’interferenza.

Quella macchia viola e i suoi desideri durarono quanto il sogno di una notte, quando hai il turno delle 5 e ti alzi alle 4. Ti svegli con quello strano pensiero fisso e conseguente domanda: ora che Diana è morta chi ci salverà dalle mine anti-uomo?


Negli anni ’90 la gente andava avanti e indietro portando borse, le pubbliche relazioni non erano viste di buon occhio e si partiva troppo spesso per la tangente. Ordine, deontologia, etica e… Potrai tornare a fidarti di noi.

Il patto di credibilità tra fonte e notizia era andato in frantumi. Ma non era la prima volta.

La pubblicazione de il De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio di Lorenzo Valla pubblicato a stampa nel 1517. Se non la prima, la più famosa, denuncia di una fake news a caratteri mobili.

Lo sa bene in questo la saggezza popolare, le sue favole, i suoi proverbi, il rapporto satirico e carnascialesco antisistema dei carnevali storici. Questi rappresentano l’unica valvola di uno sfogo subalterno all’interno di sistemi di controllo più rigidi.

Gli anni sono quelli della Controriforma, il sole non si sa da che parte gira, o almeno lo si fa stare fermo ormai per abitudine dottrinale rinnovando astronomicamente il potere del fake.

Compare il fake news generator per eccellenza, la Santa Inquisizione.

L’antidoto della saggezza popolare, quel sano non lasciarsi infinocchiare, raggiunge l’operismo verdiano. Anzi, figlio di quella saggezza popolare è proprio il contadino Giuseppe Verdi il cui talento non può non imbarazzare la coscienza classista dell’epoca.

“Tutto il mondo è burla…”. Così canta il finale del Falstaff. Tutto il mondo è Fake. Ma la materia di cui sono fake i sogni, insieme ad Arrigo Boito, il maestro di Roncole la ritrova nei bauli del teatro elisabettiano di William Shakespeare.

Fa specie oggi, che dopo trent’anni e nel mondo digitale della comunicazione, si ripropongano assilli e fabbisogni etici. Una manciata di mesi prima che l’analitica Cambridge sostituisse la perfida Albione, che l’algoritmo sapesse come profilarci meglio delle nostre mamme, il libro bianco della comunicazione digitale sottolinea nuovamente la parola chiave: trasparenza.

Questo è il nostro oggi. Come se il tempo si fosse fermato, per poi ripartire da dove eravamo rimasti.

Dobbiamo ringraziare le bufale virali di Facebook se il turlupinamento è costante e dietro l’angolo? Se oggi la “keyword” per eccellenza è “fake”.

Potrà mai salvarci l’etica nichomachea? Che i sensi possano ingannare è un conto, la costruzione di una impalcatura ideologica ben altro. Determina il gusto, indirizza letture del reale, condiziona le temperature percepite rispetto ad argomenti caldi o freddi che agitano i nostri stati di veglia a volte come incubi.

E Il dataismo è una corrente estetica o un abuso della credulità popolare? Perché quando del domani v’è certezza chi vuol essere triste, triste sia. Notizie false, letture di parte senza contesto, montate ad arte. Rettifiche rimandate in trafiletto alla penultima pagina dell’edizione della sera.

Da qui il bisogno di vederci chiaro, di fare pulizia. Il dibattito sulle responsabilità del giornalismo e quindi nell’attività del giornalista (con o senza filtro), dell’informazione accessibile e affidabile.

Negli anni ’90 le telecamere entrano nel Parlamento. Dall’altra parte dell’oceano la CNN, ormai sempre più quinto potere in deregulation mode, sguinzaglia scenari come set cinematografici ravvivando la dimensione spettacolare del reale, riattualizzando tutto il senso del situazionismo di Guy Debord.

Un sistema fake, come una macchina del tempo, crea il nostro contesto storico in cicli di elusione e rinnovamento.

Di conseguenza, esistendo le fake news da che mondo è mondo varrà la pena di chiederci in che mondo viviamo o quale mondo creiamo.

Cesare diceva nel De Bello Gallico che le persone credono a ciò che desiderano. Così è se vi pare risponderebbe Pirandello.

Condannati allo stato di eterna cenerentola senza principe azzurro (forse abbandonato a se stesso in una qualche osteria…) il fake è favola. Ci chiude nei sogni chiusi nei desideri chiusi in fondo al cuor. E l’illusione ha vita breve. È già mezzanotte. Cosa succederà l’indomani mattina quando scopriremo che perfino il re è nudo?

To be continued (here).

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