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Il metodo “situazionale”

Ho appreso la tecnica di coinvolgere i miei interlocutori, che possono essere dei lettori o dei frequentanti dei corsi di formazione, sin dai tempi in cui, da giovanissimo, facevo pratica giornalistica a Torino.

Uno dei giornalisti che ho sempre molto ammirato, un vero mago in queste tecniche di coinvolgimento, è stato Enzo Biagi.

Aveva il dono di scrivere come si parla e far sentire i suoi interlocutori protagonisti del fatto che stavano seguendo, pienamente coinvolti grazie ad un processo di empatia che sapeva creare con maestria.

Ricordo un suo articolo apparso su La Stampa di Torino, dove all’epoca lui era un giovane redattore, per un grave incidente automobilistico che aveva sconvolto la quiete della città, non solo per il grave bilancio di quattro morti, ma soprattutto per la modalità con la quale il fatto era accaduto.

A mezzogiorno esatto, un’ambulanza, con a bordo un operaio che si era ferito sul lavoro ad una mano, stava attraversato un incrocio (a sirena innestata, con il semaforo rosso) e finì violentemente contro un’auto, con tre persone a bordo, che stava procedendo dalla destra, distruggendola.

Morirono i tre passeggeri e l’operaio, che con quel trasporto in ospedale passò, da una non grave ferita alla mano, al decesso.

Il caporedattore aveva inviato un bravo cronista sul posto, il quale, dopo aver rilevato tutti i dati e raccolto le testimonianze dei presenti, aveva scritto un articolo, ben redatto, che forniva tutti i dettagli dell’incidente.

Era consuetudine, quando si trattava di un grave fatto di cronaca, che almeno due giornalisti fossero incaricati di seguire l’avvenimento, uno per la cronaca vera e propria, l’altro per la redazione di quello che veniva definito un “pezzo di colore”.

L’incaricato del colore era in quel caso Enzo Biagi.

È chiaro che quando un giornale riporta due articoli affiancati, a sinistra quello con tutti i minimi dettagli del fatto e con la minuziosa descrizione di quanto è accaduto, l’articolo di destra ha poco da aggiungere, visto non può ripetere le stesse cose.

Biagi capì, da scrittore più che da giornalista, che quelle persone morte, sconosciute ai lettori, non avrebbero potuto creare emozioni: un nome, l’età e la professione, che è quello che di solito un pezzo di cronaca riporta delle persone decedute, dicono troppo poco per poter sviluppare un minimo di empatia con quelle povere persone.

Capì che doveva “far affezionare” i lettori a quelle vite spezzate. Doveva creare una “situazione vitale” legata a fatti reali, quello che, appunto, si chiama racconto situazionale.

Scrisse così un articolo ricorrendo ad azioni (forse di fantasia, ma credibili, in quanto sempre presenti nella quotidianità) che descrivevano, minuto per minuto, la giornata di ognuno dei quattro morti, facendo convergere ogni singola azione sino alle 11:59, quindi un attimo prima dell’impatto fatale.

Descrisse ogni gesto che avrebbe potuto evitare di farli essere lì, proprio in quel momento esatto: così descrisse i movimenti della donna che dimenticò la borsetta e tornò a recuperarla poco dopo essere uscita di casa; il marito che passò da un collega per parlare di una questione di lavoro ma non lo trovò e quindi non si trattenne ad attenderlo; il cugino che passò a ritirare una busta in azienda e face allungare il percorso; l’ambulanza che tardò parecchio ad arrivare al cantiere dove l’operaio si era ferito alla mano…

Ognuno di questi fatti avrebbe potuto spostare anche solo di un minuto l’impatto fatale, ma il destino era segnato a tutti si trovarono tremendamente puntuali, spaccando il secondo, all’appuntamento con la morte.

Sarebbe stato un racconto normale se non ci fosse stata la tensione procurata dal fatto che i lettori sapevano già la tragica fine.

Era invece un pezzo davvero emozionante.

In poche righe, quei nomi e quei volti sconosciuti erano diventati i personaggi di un dramma terribile.

La cronaca, collocata sulla sinistra, al confronto era una cosa senza vita, senza emozioni: il pezzo sulla destra era palpitante, sembrava far vivere secondo dopo secondo la tragica corsa verso l’incontro fatale.

Era uno splendido esempio della tecnica situazionale: far affezionare il lettore, anche in poche righe, usando la credibilità dei piccoli fatti di vita quotidiana. Uno storytelling pieno di emozioni, come un buon racconto deve essere.

Quando i giovani universitari mi chiedono come si fa a elevare il proprio “potere di convocazione” rispondo con degli esempi come quello di Biagi: a volte basta anche meno di un racconto dettagliato, perché si può anche fare leva sulla fantasia dei lettori, come quando un altro grande maestro, Ernest Hemingway, rispose alla domanda “Come si fa ad emozionare con poche parole?”.

Hemingway disse: “Ne bastano sei, di parole, per immaginare un racconto palpitante”.

E fece il mitico esempio:

Vendo scarpe da bambino, mai usate.

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