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Steve Buchanan: l’eterodossia nella musica

Steve Buchanan possiede la singolare caratteristica di essersi fatto conoscere professionalmente in due campi: la musica e la danza.  Ed è, sin dagli anni ’70, quello che oggi chiameremmo un transdisciplinare o artista multidisciplinare.

 

Cosa significa, per te, l’eterodossia nella musica?
«Se ci riferiamo alla radice ecclesiastica della parola, per me rappresenta la meschinità, la miopia, e l’intolleranza. Io dico di abbandonare i sacerdoti, le religioni, gli accoliti, e tutte le interpretazioni canoniche che derivano dalla incorretta e sbagliata filosofia manichea.
Osservando la storia, siamo stati testimoni di come un utilizzo imperfetto della nostra mente ci abbia condotti a tristi epiloghi, e non c’è niente di peggio che identificare nuovamente quale non-ortodosso qualcosa come una religione, un politico, un movimento artistico o la musica.

Nella musica è presente la stessa ristrettezza di pensiero che troviamo in ogni religione, o movimento politico. Eppure, proprio nella musica, non avrebbe assolutamente motivo di esistere.

Una delle mie citazioni preferite riguardo questa parola era in un’intervista a Jimi Hendrix al Dick Cavett Show quando gli fu chiesto della sua interpretazione non-ortodossa dell’inno americano: Star Spangled Banner. Non-ortodossa? No amico, io credo che fosse bellissima, ma ormai è fatta!»

 

 

Quali sono i tuoi tre principali punti di riferimento e di ispirazione?
«Dal punto di vista passionale, la fonte primaria della mia ispirazione e della mia musica è il grande fiume della tradizione afro-americana e la sua miriade di rappresentazioni.

Anche la danza e tutte le forme di movimento in generale e, ovviamente, la letteratura.

Sono un lettore accanito e lo sono stato fin da piccolo, molto più che un fruitore di musica.

Ma francamente, concordo con Cecil Taylor quando, rispondendo a una domanda simile, disse che può essere un cibo che odi questo o quel giorno, ciò che hai bevuto, se sei inciampato, il tempo, qualcuno con cui hai dormito o no, un edificio che hai visto, un odore, un ricordo…»

 

Pensi che sia stato già scritto tutto (nel mondo della musica) o credi che ci siano ancora percorsi da esplorare?
«Credo ci sia certamente molta ridondanza, questo è in gran parte dovuto alla rivoluzione dei media che stiamo vivendo. Però credo che sia solo l’inizio, finché ci sarà qualcuno, molti o pochi, ci saranno strade e dimensioni da esplorare.

Non penso che esista una fine prevedibile, e questo pensiero è per me come un raggio di speranza e luce che illumina il nostro ambiente che è, di per sé, enormemente vario».

 

Tra i progetti artistici contemporanei, quali credi siano quelli più promettenti?
«A parte i miei? Scherzo! …Piuttosto che uno in particolare, direi che le aree più promettenti e da tenere d’occhio sono quelle nei quali diversi media e forme sono sapientemente combinate, lo possiamo notare anche nella scienza, in medicina e così via… In questo modo si ottengono risultati sorprendenti.

Questo tipo di evoluzione spero che sradicherà il razionalismo cartesiano una volta per tutte. Così potremo finalmente abbracciare la realtà. Con una reale empatia.

Un ulteriore consiglio che darei è di evitare qualsiasi ideologia, forma d’arte o persona che inneggia a una purezza di intenti».

 

 

Cos’è la tua 2nd Line?
«La 2nd Line è una unità di percussioni interattiva che permette una completa fusione di danza e musica. Un musicista può ballare una qualsiasi percussione e/o un insieme ritmico; lo stesso può essere fatto da un ballerino.

La 2nd Line è l’ottava evoluzione della Bucussion (una mia invenzione). Sempre io ho ideato, oltre allo strumento, anche le tecniche di accompagnamento.

Con la versione attuale, siamo in grado di produrre qualsiasi suono: batteria, conga, tabla, timpani, gong, ecc. ed è pienamente utilizzabile con ogni interfaccia visuale o sonora attualmente esistente.
Ad esempio possiamo usare e usiamo dei Led programmabili.

Il fatto che il suono venga riprodotto per via digitale e non tramite una semplice sequenza di batteria, o premendo un bottone per riprodurre una sequenza, rende il tutto una forma di espressione primaria.

Amo ballare, e questo significa lavoro e sudore!»

 

Ci confideresti un sogno (privato o professionale) che vorresti si realizzasse nel 2019?
«Una risposta onesta a una domanda onesta: vorrei vedere nel 2019 il riconoscimento, anche economico, del duro lavoro di innovazione che ho portato avanti in tutti questi anni.

Una piccola componente di questa risposta è dettata dall’egoismo (ogni artista lo è, che lo ammetta oppure no) ma in maggior parte lo dico per un fatto pratico, questo è un lavoro, dopotutto. E in quanto tale andrebbe pagato adeguatamente e non con stupidi aforismi o assiomi artistici, ma con denaro contante come si farebbe con qualsiasi lavoratore in qualsiasi altra professione.»

È irrealistico, forse, ma sei stato tu ad usare la parola sogno.

 

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