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  • Comunicazione

La leggibilità

Ci deve essere qualcosa che non funziona nella mente dei grafici e dei creativi che si occupano di editoria.

Il timore di apparire banali e poco coraggiosi nelle loro creazioni editoriali li fa apparire, molto spesso, pessimi comunicatori, se è vero, com’è vero, che la comunicazione si misura all’arrivo e non arriva quasi nulla perché non si riesce a leggere quanto è scritto.

Le tabelle cromatiche che si studiano nei corsi di grafica indicano che se si usa un fondo bianco e un carattere di colore nero, non troppo minuto, la leggibilità è avvantaggiata. Per contro, se si usa un colore leggero e diafano come il giallo su fondo bianco, sarà difficile distinguere ciò che è scritto.

Non ci vuole un genio a capirlo e a verificarlo di persona: perché allora la maggior parte degli art director predilige il contrario di queste regole, progettando quasi sempre fondi neri e testi in corpo 6 stampati in grigio, totalmente illeggibili?

Ho tra le mani l’ultimo numero di Sky Life, il magazine dell’emittente televisiva: è il catalogo ufficiale della scarsa leggibilità.

Forse, inconsciamente, i progettisti hanno risentito del fatto che il direttore, nel suo editoriale, stava annunciando la fine della testata, che con il numero successivo avrebbe interrotto le pubblicazioni per le giuste regole dettate dal rispetto ambientale: tonnellate di carta risparmiata, ne sarà felice la piccola Greta.

Non nego che la rivista avesse sempre avuto delle soluzioni progettuali interessanti, con tagli fotografici e impaginazioni non banali, ma resta il fatto che era illeggibile.

Questo forse, come in tantissimi altri casi, avviene per il fatto che i progettisti grafici, nel momento della progettazione, sono di fronte a una interfaccia retro-illuminata che rende tutto splendente e visibilissimo, mentre la resa in stampa, spesso precaria, rende la leggibilità ben diversa.

Mi ricordo, a proposito di quello che accade in un contesto produttivo differente da quello di utilizzo, che un giorno assistetti ad una seduta di registrazione di un brano musicale: terminata la seduta, in riascolto avvenne nella sala dello studio dotata di apparecchiature di ultima generazione che facevano fare, al cantante e al gruppo musicale, una splendida figura.

Tutti erano felici e si congratulavano l’un l’altro e davano grandi pacche sulle spalle all’ingegnere del suono, sino all’arrivo del produttore che gelò l’ambiente dicendo:

Vi vedo contenti di quello che ascoltate, ma vi ricordo che quelli che ascolteranno questa canzone avranno meno dell’1% della qualità di ascolto che voi avete in questo momento.

Provate ad ascoltarla come la sentiranno quelli che comprano, pagando con denaro buono, una canzone che ha una pessima resa.

E ci obbligò a sentirla riprodotta in una piccola radio portatile, con un altoparlante ridicolo che emetteva dei suoni da citofono.

L’ascolto – disse – si misura all’arrivo.

Infatti, mi chiedo: ma i grafici che progettano tutto in corpo 5 in giallo su bianco oppure in corpo 6 grigio su fondo nero, hanno una convenzione con gli ottici dal quali ricevono una tangente per gli occhiali che i poveri lettori, resi non vedenti, devono comprare?

O sono semplicemente sciocchi, come il bullo ideato da Carlo Verdone, quello che dice alla sua donna, «famolo strano».

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