Più diffuso della distanza tra le persone è il loro desiderio di rompere questa distanza.…
Non è una guerra: non ci saranno vincitori né vinti.
Comunicazione di Laura Taradel
8 Aprile 2020
Se ne parla su Fb. Quali parole usare, quali metafore.
Quella della guerra è la più in voga.
Ha una sua logica: il virus è il nemico, lo straniero invasore, l’alieno. Quindi va combattuto.
Gli ospedali sono il fronte, i medici sono i soldati in prima linea. Anche poco armati, se i dispositivi di protezione sono armi contro il nemico.
I morti sono caduti in battaglia, muoiono soli. I feriti sono troppi, si aprono campi e tendoni e si salva chi ha più probabilità di sopravvivere.
Ha un senso, ma a me pare la metafora più semplice e a portata di mano.
Al tempo stesso una fregatura.
Non ci saranno vincitori né vinti.
Allora mi sono fatta la mia metafora personale.
Siccome per me i virus non sono nemici, ma fanno parte del sistema in cui vivo, li penso come un fenomeno naturale.
A volte non recano troppo fastidio, altre volte sì, come fenomeni violenti, ma sempre naturali.
Ci devo convivere e devo aggiustare il mio stile di vita quando arrivano, probabilmente anche imparare qualcosa.
Capita che mare e venti siano gestibili con semplici manovre e messa a punto delle vele, mentre ti godi il sole e fai un aperitivo con gli amici.
Poi arriva burrasca. Tempesta. Uragano.
Buttare l’ancora e tentare di ripararsi in una caletta è pericolosissimo, mare e vento potrebbero farti sbattere su altre barche o peggio, sugli scogli.
E per quanto il tuo istinto ti spinga a desiderare la terra ferma, la casa, gli amici, per salvarti devi andare in mare aperto.
La mia parola d’ordine diventa “regolare”.
Mani di terzaroli, la cappa, tutto legato e in sicurezza.
A volte non basta nemmeno quello. Devi togliere tutto. Barricarti dentro.
Impegnare le tue forze ad affrontare la prova più dura. Rotolerai e la barca rotolerà.
Ti sembrerà di stare in frullatore. Penserai di morire. Ma aspetterai.
Nessuno può venire a prenderti, sei separato dal resto del mondo e sai che altre barche e altri equipaggi come te stanno passando la stessa cosa.
Aspetterai, perché prima o poi passerà.
Come passò la Spagnola nel 1918. Mia nonna Alice la prese e si salvò, il fratello morì.
Poi il vento calerà un po’, la barca si raddrizzerà, forse riuscirai a uscire per controllare, riparare, rifiatare.
Conterai quanto cibo ti è rimasto. Farai la lista di ciò che conta sul serio. Dovrai tirar fuori la vecchia canna da pesca, probabilmente.
E noi così facciamo, peschiamo i nostri pesci/risorse, anche laddove non pescavamo prima, dove non abbiamo mai cercato.
Se questa quarantena ci rivoluzionerà la vita, almeno che siano rivoluzionari i cambiamenti in noi.
Riusciremo a conservare e portarci dietro quei pensieri e quelle azioni preziose quando la necessità di pensarle e farle finirà?
Chi ha ripreso a suonare una chitarra abbandonata, chi ha iniziato a scrivere, chi ha ritrovato un amico perso, chi ha trovato parole nuove per il proprio compagno, chi si è inventato un nuovo modo di lavorare, chi ha stretto nuove amicizie, chi ha mollato inutili amanti e ne ha scelto uno solo, chi ha capito cosa conta sul serio, chi si è messo a fare volontariato.
Finito l’obbligo saremo in grado di scegliere?
Più diffuso della distanza tra le persone è il loro desiderio di rompere questa distanza.…
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