Storia di una Playlist
Playlist di una Storia
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2 Settembre 2020
Solamente 3 volte, negli ultimi 30 anni, è stato un film italiano ad aprire la Mostra del Cinema di Venezia.
Quest’anno l’onore (e l’onere) spetta a Lacci di Daniele Lucchetti.
E così Venezia77 è partita. La prima proiezione dell’era postcoronavirus è andata, senza imprevisti e con molto ordine e molta pazienza. Il film di apertura, fuori concorso, è stato proiettato per la stampa nell’immenso PalaBiennale (1760 posti) e non ha avuto problemi di distanziamento.
La struttura era piuttosto vuota. Le file degli ospiti ordinate fuori, in base alle file di poltrone loro assegnate.
Immancabile il rito della misurazione della temperatura, al quale il popolo del festival si presta senza obiezioni (dopo aver prenotato il posto on line ben 72 ore prima).
Per ora tutto sembra funzionare alla perfezione, per la buona organizzazione ma forse anche per i numeri bassi di presenza, le cifre ufficiali parlano di seimila accreditati ma le sale questa mattina erano decisamente poco affollate.
Lacci, l’ultimo lavoro di Daniele Lucchetti, è appunto il film d’apertura della settantasettesima Mostra cinematografica di Venezia.
Tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone, narra la storia di Aldo De Simone (Luigi Lo Cascio), giornalista radiofonico, che decide di lasciare la moglie Vanda (Alba Rohrwacher), un’insegnante da cui ha avuto due figli, per trasferirsi e andare a vivere con la sua giovane amante Lidia.
Alternato nella Napoli degli anni ’80 e quella dei giorni nostri, Lacci è un racconto di legami indissolubili, tossici che sono difficili da sciogliere; è il rumore di quando un matrimonio si spezza e porta quella crepa con sé, dal momento in cui si è deciso di ricominciare, di tornare ognuno al proprio posto.
Una relazione quella di Aldo e Vanda governata dalla paura: paura di voler colmare i vuoti dei figli che dagli stessi genitori non possono prendere esempio; paura di accontentarsi di un’abitudine di cui si sente il bisogno avendo il terrore di rimanere soli, sentendosi incompleti.
Lacci che legano i protagonisti come legami ma lacci anche come quelli delle scarpe che un figlio impara a legare nel modo inconsueto del padre, una sorta di eredità dei gesti.
Daniele Lucchetti, attraverso un montaggio ben costruito, riesce a dare voce al dolore di tutti i protagonisti su due diversi livelli temporali: Aldo e Vanda, prima giovani poi invecchiati, e i figli, prima bambini e poi adulti.
Nel finale del film le maschere di ogni personaggio si sgretolano e scompaiono.
Il regista in questa storia di lacci pieni di nodi non recisi e non allentati lascia a noi spettatori, osservando i vari punti di vista, trarre le conclusioni e arrivare ad una verità.
Qualunque essa sia…
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