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  • Arte

Signori e Signore: David Moretti.

David Moretti non ha bisogno di presentazioni. Creative Director di Wired Italia per sette anni, ora Deputy Creative Director di Wired negli Stati Uniti. Oggi sulle pagine virtuali di JustBaked.

1. Ciao David, presentati ai lettori di Just Baked.

Sul mio biglietto da visita c’è scritto: David, grafico. Ora sono a San Francisco e lavoro come Deputy Creative Director a Wired, prima vivevo a Milano e facevo il Creative Director a Wired Italia. Qui sono responsabile della comunicazione visiva cross-platform dei contenuti di Wired. Per farla semplice, supervisiono i dipartimenti di grafica, fotografia e video tra magazine, web ed eventi. Gestisco ogni creatività sotto la direzione di Billy Sorrentino, Head of Creatives dell’intero brand.

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2. Raccontaci il giorno in cui hai capito di avere creatività da vendere.

Quando ho trovato qualcuno disposto a comprarla.
Forse intorno ai 16 anni o giù di lì, con i soldi guadagnati ho comprato la mia prima Fender Stratocaster e ho pensato: “Interessante, e mi sono pure divertito”. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di creativi, dove se chiedevi soldi venivi spedito come aiutante in qualche laboratorio. Stamperie, fotolito, serigrafie, non avevo neanche 20 anni e avevo più esperienza di qualsiasi studente di accademia. Più’ che la gavetta, mi sono fatto un gran mazzo. Con la creatività poi mi sono pagato gli studi universitari in storia, ma mai avrei pensato di fare il grafico di professione.

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3. Gli step necessari per diventare art director (sempre che esistano!).

Posso parlarti della mia esperienza personale. Aver avuto una formazione atipica mi ha facilitato notevolmente. Imparare a ragionare e formulare un concetto e’ un processo complesso che poco ha a che fare con tecnica e stile. E alla base della comunicazione ci sono i linguaggi: per questo, l’essere da sempre un dissociato mi ha aiutato tantissimo. Fumetti, videogame, musica, fantascienza, arte, pubblicità, computer, tecnologia ogni idea, ogni spunto è un frullato di quello che mi appartiene e che mi definisce. Sempre in bilico tra Matthew Barney – Silver Surfer –Stephen Hawking e il Gabibbo. Per me va così forse esistono altre vie, non so. Poi c’è la tecnica, naturalmente.

4. Ora vivi nelle Americhe. Tutti i contro di vivere in quel posto lì.

Posso elencarti tutti I contro che mi hanno spinto a venire qui. Lavorativamente parlando, sono in paradiso. Amo la competizione, sono circondato da persone positivamente ambiziose e il sistema della comunicazione qui in America premia davvero la qualità. L’unica nota stonata è che vivo in una città non particolarmente famosa per la scena artistica. Per vedere una mostra decente devo volare fino a Los Angeles…

5. Progetto, una parola che spesso non viene considerata. La tua idea di progetto.

Esiste una certa sacralità nel concepire un progetto. Definire un’architettura di processi attraverso i quali nasce qualcosa di nuovo, davvero meriterebbe umiltà e rispetto. I miei progetti devono garantire stabilità, dare a grafici e giornalisti uno spazio sicuro in cui operare e al tempo stesso definire una precisa voce e identità. Una rivista è realmente un’architettura complessa e il lavoro di ogni mese ne definisce gli arredi, ospita tra i suoi spazi artisti e contributor sempre diversi, ma non ne stravolge mai la struttura. Lo stesso vale per siti ed eventi.

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6. Parlaci del tuo primo parto naturale in Wired.

Stavo benissimo prima di Wired, avevo un contratto giornalistico con il Corriere della Sera, vale a dire giocare di sponda e godersi tutti i vantaggi fino alla pensione. Stile italiano, insomma. Poi, un giorno, ricevo la proposta di Condenast di lavorare ad un fantomatico ufficio progetti, i cui primi obiettivi riguardano lo studio e il possibile lancio di nuove testate. In fondo alla lista vedo il logo di quella che e’ senza dubbio stata la rivista che ha determinato la mia decisione di occuparmi di magazine. Bang! Mollo tutto e firmo senza esitazioni. Piccolo problema: dopo sette anni di tentativi andati a vuoto nessuno ci credeva più’. “Hai mollato il Corriere per lanciare Wired? In Italia? Complimenti, bravo pirla!”.
Non sono mai stato obiettivo riguardo a Wired, è come con Guerre Stellari, lo so che Yoda è un cacchio di pupazzo, ma quando muore, mi commuovo ancora adesso. Ho condiviso la stessa passione e le nottate in ufficio con un giornalista, Riccardo Luna, mosso dalla mia stessa passione. Dopo 8 mesi di lavoro e’ uscito il primo numero. E’ stato davvero come avere un figlio. Grazie a quel figlio e parlando di Guerre Stellari, ho avuto la possibilità di lavorare con JJ Abrams… ma questa è un’altra storia, di Wired naturalmente.

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7. Stimoli. Da quale pianeta arrivano i tuoi?

Devo proprio scegliere? Dal Forbidden Planet, quello di Fred Wilcox con Robbie the Robot e Anne Francis.

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8. La tua colazione. Sono importanti le energie del mattino prima di cominciare una faticosa giornata di lavoro, no? 🙂

Spesso me ne dimentico, ma generalmente una banana.

Grazie, David.

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