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Storytelling musicale: Mogol e i soliti ignoti

Storytelling musicale

Si dice: «Dimmi un fatto e apprenderò, dimmi una verità e crederò, raccontami una storia e vivrà nel mio cuore». Per questo trasmettere contenuti sotto forma di racconti tocca il cuore oltre la mente.

La cosa, se ci pensate, parte da lontano: le Nozze di Cana sono storytelling. Caino che uccide Abele è uno storytelling del quinto comandamento. La Bibbia, la Divina Commedia, i Promessi sposi, la Carmen, la Butterfly, Cent’anni di solitudine, L’Amore ai tempi del colera, in sostanza, tutte le opere classiche di qualunque tipo, non sono altro che storytelling.

Oggi però, per tornare a una mia passione mai sopita, vorrei occuparmi di storytelling musicale: le canzoni, forse un po’ trascurate in questo senso, ne sono da sempre un esempio interessantissimo.

Le storie che la musica può raccontare

Lo storytelling musicale è l’arte di raccontare storie attraverso la musica. Si tratta di creare una narrazione emotiva e coinvolgente che trasmetta un messaggio usando strumenti musicali, melodie, testi e immagini evocative. Questo approccio viene utilizzato in vari generi musicali e può avere diversi scopi

Alcune canzoni, infatti, non sono altro che “storie in musica”. Pensate a Marinella, di Fabrizio De André, che inizia proprio con «Questa di Marinella è la storia vera, che scivolò nel fiume a primavera…»

La canzone più suonata nei matrimoni è La Cura di Franco Battiato, un madrigale che è uno storytelling musicale rovesciato, nel senso che non parla di ciò che è stato, ma è una promessa di ciò che sarà. Esattamente quello che le sposine vorrebbero sentirsi dire dai loro uomini e quasi mai ci riescono, soprattutto in modo così aulico: «Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie… Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce, per non farti invecchiare…. Perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te».

Di queste due canzoni il testo è stato scritto dagli autori della musica, trattandosi di due celebri “cantautori”. Quindi tutti sanno chi sono i veri autori e non avviene che si assegni la canzone all’interprete, come sempre accade. Di solito, invece, Azzurro e La coppia più bella del mondo, per tutti, sono di Celentano; Onda su Onda è di Bruno Lauzi (mentre sono tutte di Paolo Conte); La Costruzione di un amore, per tutti, è di Mia Martini, mentre è di Ivano Fossati, e via dicendo.

Quando si parla di storytelling musicale in qualche caso il successo va diviso a metà. Ne è un esempio un altro madrigale stupendo, Margherita, che tutti assegnano a Riccardo Cocciante e quasi mai citano l’autore dello splendido testo: Marco Luberti. È un autore che ha scritto molte canzoni bellissime, come Bella senz’anima, Quando finisce un amore, Era già tutto previsto, A Mano a mano, ecc.

Ho avuto il piacere, anni fa, in una bellissima serata siciliana, di sentire raccontare direttamente da Luberti la storia della nascita di quel brano. Il primo choc è stato aver confermato che la mitica Margherita non esiste: è un’immaginaria musa che è servita da pretesto per raccontare una storia d’amore struggente.

Cocciante e Luberti stavano lavorando, a casa di Riccardo, su una serie di brani per un nuovo album: dal piano uscivano spunti, belle frasi musicali, strofe iniziali, idee per dei ritornelli, tutte debitamente registrate per non dimenticare niente, per ore e ore, fino alle due di notte. Ma non c’era niente di veramente convincente. Stanchissimi, decisero di rimandare all’indomani. Marco Luberti mi confessò che dormì male: aveva in mente tanta musica e tante parole che si accavallavano nella testa, sicché sognò una frase strana… «Io non posso stare fermo con le mani nelle mani…», si alzò e buttò giù dal letto Cocciante, alle 4 del mattino, per scrivere di getto il brano che spopolò in tutto il mondo.

La potenza narrativa di Battisti e Mogol

Lucio Battisti è lo storyteller musicale per eccellenza, anche se in verità, senza nulla togliere alla sua innovativa e geniale parte musicale, chi ha creato davvero le storie, in quel caso, è Giulio Rapetti Mogol. Un’infinità di persone sono state concepite al suono delle loro canzoni e sulle spiagge di mezzo mondo è bastata una chitarra e un falò per far sorgere la magia: «O mare nero o mare nero, mare ne…». Chiamiamole, se volete, emozioni.

Tre minuti, al massimo quattro, per raccontare in un romanzo bonsai le cose essenziali di una storia: Mogol dice che se non fossimo feriti al cuore ci mancherebbero le parole per scrivere canzoni. Certo, lui non avrebbe scritto la sintesi, magnetica, di quel compleanno triste, con i fiori pesco: «Stessa strada, stessa porta: da solo non riuscivo a dormire, perché di notte ho ancor bisogno di te. Credevo di volare e non volo».

Altra struggente sintesi di storytelling musicale è il testo di 29 settembre, che è il giorno del compleanno di Serenella, la prima moglie di Giulio Rapetti. Il testo racconta la storia di un tradimento e la nascita di un nuovo amore. Ci s’immagina che la nuova donna, che aveva cancellato tutto, fosse Serenella. Lo speaker (per la registrazione dell’Equipe 84 ne era stato ingaggiato un vero dalla RAI) annunciava un giornale radio: «Ieri, 29 settembre… Mi son svegliato e… Sto pensando a te… Di colpo volo giù dal letto… Parlo, rido e tu non sai perché…»

La prima canzone in technicolor della storia

Paolo Conte, in Sotto le stelle del jazz, racconta la storia incantevole di quei ragazzi piemontesi un po’ introversi, innamorati di una musica che le donne amavano poco: «non si capisce il motivo», dice Paolo, svelando con questo doppio significato il suo amore per l’enigmistica. Non si capisce la linea melodica e non si capisce perché le donne non amano una musica così creativa. Ragazzi con le cravatte sbagliate, goffi come scimmie, nei balli in casa in cui si godeva del fruscio dei vinili con Lady be good e altre armonie lontane, «ladri di stelle e di jazz, così eravamo noi, così eravamo noi».

Questa non è altro che la storia di chi ha suonato sulle navi di crociera, come Paolo, osservando la gente, i tradimenti, i gesti dei passeggeri mentre le dita scorrevano sui tasti bianchi e neri e ci s’immaginava un uomo che cade da una nave e si ritrova, solo e felice, in un’isola esotica. Lauzi, che la cantò per primo, la definì «la prima canzone in technicolor della storia». Prima erano tutte in bianco e nero.

Quando una storia diventa una canzone

Analizzando lo storytelling musicale è intrigante cercare di capire come si scelgono le storie che poi diventano canzoni. Ad esempio, sono stati il ricordo di un intenso rapporto professionale e di un sogno che hanno generato la dedica musicale di Giulio Rapetti a Lucio Battisti in L’arcobaleno; tanti racconti-ritratto, come in Suzanne, Sally, Bocca di rosa, Bartali, Caruso, ecc.; un sequestro, come in Hotel Supramonte.

A volte le canzoni su certe storie vengono commissionate, come fece la RAI a Fabrizio De André per la sigla di una trasmissione sull’omicidio di Pasolini: nacque Una storia sbagliata.

Esiste anche il mini-storytelling musicale: alcuni autori si sono specializzati in canzoni bonsai, come Enzo Giachetti: «Se tu mi amassi… Se tu mi amassi… Ma no che non ti amasso…».

Maurizio Semplice, scrivendo di una persona banale e molto sfortunata, sintetizzò così la sua vita: «Tirò a campare. Sbagliò mira».

Altro che tre minuti: bastano tre secondi.

Se vuoi scoprire altre storie appassionanti sulla musica, leggi gli altri articoli su Just Baked.

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