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THE HELIOCENTRICS.
Live Report “Roma Incontra Il Mondo”

Il termine lisergico negli ultimi decenni è stato utilizzato, talvolta impropriamente, come etichetta trasversale, capace di ricomprendere e diluire nell’ambito di una semplice definizione una vasta controcultura. Controcultura che, dagli anni ’60 ad oggi, è stata in grado di affermarsi sotto diverse forme e molteplici modalità di percezione, da quelle autenticamente letterarie fino al glam & chem più retrivo.
Tuttavia, per provare a comprendere appieno il senso di questo termine, oggi è opportuno partire dalla sua accezione scientifica: in chimica organica, infatti, lisergico si riferisce “all’acido carbossilico, contenente il nucleo dell’indolo, ottenuto per idrolisi degli alcaloidi della segale cornuta. Alcuni derivati sintetici sono dotati di notevoli proprietà psicotomimetiche per cui sono stati usati in psicoterapia” (cit. Vocabolario Treccani).

Se questa asettica connotazione non vi appassiona, allora potremmo concentrarci sul concetto di psicotomimetico, inteso come “farmaco o sostanza che esercita un’intensa azione psicostimolante e provoca alterazioni dell’umore e delle percezioni” (cit. Dizionario Italiano De Mauro).
Malgrado la precisione scientifica queste definizioni enciclopediche mancano di una rappresentazione visuale e, in tal senso, senz’altro susciterà di più la vostra curiosità l’immaginario filmico che ruota intorno alle applicazioni pratiche dell’acido lisergico e degli allucinogeni suoi parenti più prossimi. Vale la pena citare le visioni on the road delle quali sono protagonisti Johnny Depp/Raoul Duke e Benicio Del Toro/Dr. Gonzo in Fear and Lothing in Las Vegas di Terry Gilliam e l’avvolgente spirale di eventi a dir poco grotteschi nei quali si destreggia il camaleontico Joaquin Phoenix in Inherent Vice di Paul Thomas Anderson (film basato sull’omonimo romanzo di Thomas Pynchon).

Una cosa è certa: se c’è una sostanza che, grazie alle alterazioni emozionali e sensoriali in grado di produrre su chi ne fa uso, ha attraversato senza mai perdere il suo valore iconico quasi mezzo secolo di cultura alternativa è senza dubbio l’acido lisergico, meglio conosciuto come LSD.
La proiezione artistica che ruota intorno al LSD, alla psichedelica e agli allucinogeni in genere, è davvero sterminata e affrontare con originalità il tema sotto qualsivoglia lente deformata delle arti sensoriali è impresa ardua che inevitabilmente rischia di evaporare nel grande vong dell’ultima inalazione, dopo il quale tutto l’apparato neuronale viene generosamente avvolto dalla nebbia più densa.

In questa indistinta babele spicca, per originalità e coerenza, il recente lavoro di ispirata ricostruzione basata su fatti realmente accaduti firmato dal giovane regista Cosmo Feilding-Mellen.
Il documentario The Sunshine Makers, di cui il regista è anche autore, narra l’ascesa e caduta di Tim Scully e Nicholas Sand, la parabola che ha portato due giovani californiani da nerd da laboratorio a improbabili pionieri delle droghe sintetiche nel movimento di controcultura degli anni ’60.
Definito dallo stesso regista come una sorta di Breaking Bad (calato nella vita reale ma ambientato in un set psichedelico), il film rappresenta la vita totalmente fuori dagli schemi convenzionali di due personaggi che nulla avevano in comune fuorché la convinzione che l’LSD potesse salvare il mondo.
I due chimici venuti dall’underground divennero celebri non soltanto per il loro sogno utopico ma, più concretamente, per aver messo appunto il golden standard degli acidi, la potente e ineguagliata miscela di LSD chiamata Orange Sunshine.

Idealismo, trasformazione sociale, acquisizione di coscienza collettiva ed esaltazione dell’ego: se non bastassero questi stereotipi, peraltro declinati in modo ironico dal regista, a voler connotare a tutti i costi questo insolito film, bisognerebbe necessariamente rifugiarsi nella colonna sonora.


A questo punto verrebbe da chiedersi se il film stesse cercando la sua musica o viceversa: resta il fatto che il combo londinese degli Heliocentrics, per origine, influenza e sviluppo della propria estetica musicale, ha avuto gioco facile nell’aggiudicarsi la partitura dal soundtrack.

Fresco di pubblicazione su etichetta Soundway Records, l’OST di The Sunshine Makers arriva a poco meno di un mese dal quarto studio album della cinedelica band guidata dal batterista Malcolm Catto e dall’altro bandleader, il bassista Jake Ferguson, intitolato A World of Masks.
L’album, edito sempre per la Soundway, è stato interamente registrato in analogico nel quartier generale di Catto, il Quatermass Sound Studio Lab di Dalston, Londra.

La band è tornata in Italia per un concerto nella splendida cornice estiva di Villa Ada, nell’ambito della manifestazione Roma Incontra il Mondo 2017, forte dell’ottimo riscontro di pubblico e critica in occasione del recente tour di aprile scorso.
Con A World of Masks il progetto The Heliocentrics entra nella fase più difficile di affermazione della propria identità musicale dopo le tante collaborazioni, dagli esordi con Dj Shadow e Madlib fino ai lavori con il re dell’ethio-jazz Mulatu Astake, LLoyd Miller, il sassofonista Orlando Julius e l’icona della blaxploitation Melvin Van Peebles.

Ascoltare dal vivo A World Of Masks significa entrare nelle texture ritmiche del collettivo londinese, il quale si muove con la consueta eleganza tra cosmic jazz, psichedelia, elettronica, dub ed exotica con la novità di una chiara influenza orientale e balcanica. Un suono molto personale dove i generi non si stratificano bensì diventano facce diverse di uno stesso prisma sonoro, convogliando le forze magmatiche apparentemente opposte di ogni strumento verso il magnete timbrico della batteria. Quest’ultima, interpretata con stile ruvido ma sempre efficace da un Malcolm Catto in stato di grazia, sottolinea ogni passaggio della performance live, si ferma e riparte in modo circolare accompagnando il pubblico in un vero e proprio trip sonoro, verso dimensioni parallele nelle quali non ci sono porte d’entrata né di uscita.

Nel loro ultimo live romano la formazione si è presentata sul palco accompagnata dalla talentuosa vocalist di origine slovacca Barbara Patkova, la quale, specialmente nelle performance dal vivo, riesce a conferire al processo creativo e a tratti lasciato al libero fluire della creatività che caratterizza l’esibizione degli Heliocentrics, un’aurea di seduttiva dilatazione spazio-tempo in direzione di territori cari alla Sun Ra Arkestra (lo storico ensemble guidato da Marshall Allen con la quale i media più attenti e informati già hanno anticipato possibili future collaborazioni).
Il flusso strumentale fuoriesce spontaneo dalla continua interazione acustico-elettronico dell’ensemble londinese e riesce ad avvolgerlo in una sorta di trance estatica collettiva che conferisce alla performance grande atmosfera.
Sotto l’attenta direzione musicale di Malcolm Catto, una volta smussati i naturali virtuosismi dei solisti, emerge progressivamente lo stile compatto e distintivo della band, quale risultato di un sincronico interplay.
Tale visione estetica della performance dal vivo è mutuata dalla stessa Sun Ra Arkestra, la cui formula, che rimane affascinante nel tempo, risiede nel momento creativo irripetibile che si materializza ogni sera sul palco.

Le subfrequenze sulla quale si sintonizzano gli Heliocentrics nel concerto di Villa Ada amplificano le suggestioni alchemiche grazie alla possente sezione ritmica e ai visual capaci di sottolineare le geometrie armoniche circolari, le propagazioni acquatiche e le continue dissolvenze, in altre parole la trama musicale su cui danzano le loro caratteristiche dilatazioni orchestrali. Le continue evocazioni e influenze assorbite con il giusto equilibro, invece, si rifanno dichiaratamente alla struttura del raga indiano, al cinema della Blaxploitation e alle colonne sonore di matrice Sci-Fi.

In un crescendo che diventa traccia dopo traccia sempre più onirico, contaminato e infetto, gli Heliocentrics ipnotizzano l’audience e lo imprigionano tra gli specchi deformati del loro labirinto sonoro, confermando la propria versatile originalità che li rende tra i migliori interpreti di quel free jazz-funk cosmico e psichedelico degno erede degli allucinati e visionari viaggi sonori di Sun Ra.

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