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Baby Reindeer: dare una possibilità alla vita

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«Mi dispiaceva per lei. È la prima cosa che ho provato.»

Due brevi frasi, separate da lunga pausa. Comincia così Baby Reindeer, la miniserie televisiva prodotta da Netflix uscita nell’aprile 2024, scritta, ideata e interpretata dal drammaturgo scozzese Richard Gadd. La storia narrata si basa su fatti realmente accaduti a Gadd tra l’estate del 2015 e il 2017. 

Trama

Impiegato a servire dietro al bancone di un pub, il protagonista della serie Donny (interpretato da Gadd stesso), aspirante comico con una voglia matta di fama, nota una donna entrare e sedersi quasi in lacrime

Non dice una parola. È completamente immobile. Come se volesse semplicemente esistere e non potesse permettersi altro, nemmeno la tazza di tè che Donny le offre dopo qualche minuto, nel tentativo di risollevarle il morale. Quella pillola di gentilezza segna è solo l’inizio

Martha Scott, questo il nome della donna, è una presunta avvocata dagli outfit eccentrici, seppur trasandati, dalla spiccata parlantina che fa immediatamente breccia in Donny. Col passare dei mesi Donny se la ritrova dappertutto: ad ogni show, dall’altra parte del bancone del bar fino a fine turno, nelle infinite email sgrammaticate che intasano il computer ogni giorno.

Lo stalking che subisce da Martha è la chiave di accesso a ricordi del passato. Ed è una chiave che donerà a Donny consapevolezza di cui aveva bisogno. 

Oltre lo stalking

Quello che racconta Baby Reindeer è un circolo vizioso da cui sarebbe facile uscire: il reato di stalking è uno dei più denunciati al mondo, eppure Donny non denuncia. Piuttosto si mette a indagare, aspettare, cerca di comprendere. Perché lo fa? È lui stesso a dircelo: «più di tutto amo odiare me stesso».

L’incapacità di «dare una possibilità alla vita» spinge Donny ad accettare ogni complimento e ogni grammo di autostima gli capiti a tiro, siano essi lavorativi o personali. Questo porta lo spettatore ad affibbiargli lo stesso cappio che leghiamo al collo di Martha sin dai primi episodi. 

Nella narrazione che fa Gadd di questa storia, i contorni della vicenda vengono sbiaditi. Così tutto diventa un continuo susseguirsi di scenari dove non siamo capaci di esprimere un netto verdetto. 

Proprio come la vita, questa serie non ha contorni netti. È come trovarsi di fronte a un arcobaleno, in cui ogni colore ha milioni di sfumature. Gadd ci dona il telescopio e ci chiede d’osservarle una ad una, portandole magistralmente in scena.

Capiamo allora che l’incontro con Martha è solo la punta di un iceberg che nasconde demoni più antichi, una fame di vita e un disperato bisogno di libertà che tiene gli spettatori incollati allo schermo. Baby Reindeer è una serie in grado di penetrare le corde più oscure, di liberarle e riproporcele, sfidando tutto quello che ci è stato insegnato, tutto quello che è giusto secondo questa società.

Richard Gadd ci lascia con una serie di interrogativi: cosa siamo disposti a fare per la fama? Fino a dove riusciamo a spingerci per sentirci speciali? Siamo veramente così danneggiati?

Alla fine dei sette episodi l’ardua sentenza.


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