Nel 1991, l’artista britannico Bryan Charnley creò una serie di 17 autoritratti che rappresentano non solo l’espressione artistica di un uomo, ma anche un doloroso viaggio nel suo mondo interiore, tormentato dalla schizofrenia. Questi dipinti, che vanno dall’11 aprile al 19 luglio dello stesso anno, documentano le sue esperienze mentali ed il deteriorarsi della sua condizione psicologica. Bryan Charnley, infatti, utilizzò la pittura non come un mero strumento creativo, ma come un modo per comunicare le sue allucinazioni, paure e conflitti interiori. La sua arte diventa, quindi, non solo una testimonianza visiva, ma una forma di autoterapia, attraverso la quale cercava di affrontare la sua malattia mentale.
La Pittura come Strumento di Sopravvivenza Psicologia
La battaglia di Charnely contro la schizofrenia iniziò nei primi anni della sua vita adulta, e la pittura divenne il suo rifugio e la sua unica via di comunicazione con il mondo esterno. L’artista non solo dipingeva per esprimere se stesso, ma anche per contenere e comprendere ciò che accadeva nella sua mente, troppo spesso ostile ed incomprensibile. La sua condizione lo portò a vivere una realtà distorta, fatta di visioni allucinatorie e pensieri confusi. La pittura, quindi, divenne un mezzo per esplorare e tradurre la propria percezione del mondo, per cercare un ordine in un caos che, altrimenti, lo avrebbe consumato.
Nel 1982, Charnley fu profondamente segnato da un tragico episodio: la sua compagna dell’epoca Pam Jones, tentò di togliersi la vita gettandosi dalla finestra della loro casa. Pur sopravvivendo, Pam rimase paralizzata ed il trauma di questo evento segnò irrimediabilmente la psiche di Charnley. Pochi giorni dopo, Charnley dipinse un autoritratto dedicato alla sua compagna, il quale divenne una rappresentazione simbolica del fantasma che lo avrebbe tormentato per il resto della sua vita. Quest’opera non solo racconta il dolore della tragedia, ma segna anche l’inizio di una lunga riflessione interiore che si sarebbe concretizzata nelle sue successive opere.
Il Diario: Una Via di Comunicazione Interiore
Durante uno dei suoi numerosi ricoveri in ospedale, Charnley incontrò la psichiatria Marjorie Wallace, che gli suggerì di iniziare a scrivere un diario per accompagnare il suo lavoro pittorico. Questo consiglio divenne un punto di svolta per l’artista: la scrittura si rivelò un mezzo complementare alla pittura, permettendogli di verbalizzare le sue esperienze più difficili da rappresentare attraverso il pennello. Il diario, unito alle opere visive, fornì a Charnley una struttura più chiara per esprimere il dolore, la frustrazione e la solitudine che accompagnavano la sua malattia mentale.
In un contesto di isolamento e confusione, dove la malattia sembrava distorcere ogni aspetto della sua vita, la pittura e la scrittura diventarono un modello terapeutico che gli permetteva di tenere un filo di controllo sulla sua condizione. Le opere di Charnley non sono solo la testimonianza di un individuo che viveva il tormento della schizofrenia, ma anche un atto di resistenza psicologica che sfida la visione comune di ciò che significa vivere con una malattia mentale.
L’Addio alla Vita di Bryan Charnley: L’Ultima Serie di Autoritratti
Nel 1991, Charnley decise di ridurre drasticamente i farmaci, un gesto che segnò la sua ultima ricaduta. Con questo atto, l’artista intraprese un ciclo finale di autoritratti, la cui intensità emotiva raggiunse vette straordinarie. In questi dipinti, Charnley cattura la crescente alienazione che provava, con immagini distorte di se stesso, in cui ogni linea, ogni colore sembrava riflettere la sua condzione psichica in deterioramento.
Nel suo diario, l’artista annotò le sensazioni che accompagnavano la realizzazione di questi lavori: una lotta incessante tra il desiderio di esprimersi e l’incapacità di comunicare con il mondo che lo circondava. I suoi autoritratti divennero così una metafora visiva della schizofrenia, dove il volto si trasforma e si deforma, rivelando la fatica di mantenere la propria identità mentre la mente si sgretola.
Il suo ultimo dipinto, probabilmente mai concluso, fu trovato il 19 luglio del 1991 sul cavalletto del suo studio. Il gesto di Charnley di dipingere fino alla fine della sua vita testimonia non solo il suo bisogno di comunicare, ma anche il suo coraggio nell’affrontare l’inferno mentale dal quale non riuscì a sfuggire.
Bryan Charnley Sfida la Comprensione della Sofferenza Psichica
Le opere di Bryan Charnley sono un’opera straordinaria di auto-esplorazione e testimonianza. La sua arte non solo racconta una storia personale di sofferenza e solitudine, ma apre uno spazio di riflessione sul tema della salute mentale, troppo spesso ignorato o mal compreso. Il suo lavoro ci obbliga a confrontarci con una dimensione dell’esperienza umana che molti di noi non conoscono direttamente, ma che è tanto fondamentale quanto quella della salute fisica.
Le sue opere rimangono oggi custodite in collezioni prestigiose, come la Wellcome Collection di Londra, dove continuano a sollevare domande e riflessioni sulla condizione umana e sulle difficoltà legate alla salute mentale. Non sono solo dipinti, ma frammenti di una realtà vissuta, che ci permettono di ascoltare le voci di chi non ha potuto trovare parole per raccontare la propria sofferenza