Nel cuore dell’Emilia-Romagna, il Centro Protesi INAIL di Budrio rappresenta un polo d’eccellenza nazionale nella ricerca, nella produzione e nell’applicazione di tecnologie protesiche avanzate. In questa intervista con l’Ingegner Emanuele Gruppioni, Direttore tecnico dell’Area di ricerca, e Simona Amadesi, Responsabile della Comunicazione, esploriamo l’integrazione dell’intelligenza artificiale nella riabilitazione ed il valore strategico della comunicazione per un’innovazione realmente al servizio della persona.

- L’intelligenza artificiale sta trasformando la medicina riabilitativa. In che modo l’AI è già integrata nei vostri dispositivi, e quali vantaggi porta per pazienti e terapisti?
Risponde: Emanuele Gruppioni, Direttore tecnico Area di ricerca del Centro Protesi INAIL
Abbiamo iniziato a lavorare con l’intelligenza artificiale nel 2009. Nei nostri dispositivi, l’AI agisce da “traduttore” tra il mondo biologico e quello robotico: interpreta l’intenzione del paziente (intention detection) e la trasforma in comandi comprensibili per la macchina. L’obiettivo è realizzare un controllo il più possibile fisiologico, affinché il paziente, dopo una fase di addestramento, possa semplicemente pensare all’arto fantasma ed attivare il movimento. Vogliamo arrivare al punto in cui il paziente mette la protesi e funzioni, senza bisogno di istruzioni complesse.
- Progettare protesi ed esoscheletri intelligenti richiede una mole di dati. Come raccogliete elaborate e traducete questi dati in funzionalità realmente utili per chi usa i vostri dispositivi ogni giorno?
Risponde: Emanuele Gruppioni, Direttore tecnico Area di ricerca
A differenza dei modelli AI basati sul linguaggio, che si fondano su grandi quantità di dati e deep learning, i nostri dispositivi devono lavorare con microcontrollori, quindi con risorse computazionali molto limitate. Non possiamo inserire un computer in una protesi, per ovvi motivi di spazio e consumo energetico. Per questo abbiamo bisogno di algoritmi semplici ma efficienti, capaci di operare in tempo reale e su piattaforme con poca potenza. Il futuro ci porterà a chip miniaturizzati, più potenti e a basso consumo: lì sarà possibile fare un ulteriore salto di qualità.
- Il vostro laboratorio è un esempio raro in Italia di collaborazione concreta tra ricerca avanzata e sistema pubblico. Cosa significa per voi “essere utili” nel quotidiano della riabilitazione?
Risponde: Emanuele Gruppioni, Direttore tecnico Area di ricerca
Siamo un centro pubblico, e fondamentalmente tutte le nostre collaborazioni si sviluppano con enti pubblici: università e centri di ricerca. Questa rete di ricerca pubblica condivisa è per noi un valore fondamentale, perché garantisce accesso democratico, trasparenza ed impatto diretto sulla qualità della vita delle persone.
- C’è stata una convinzione che avevate inizialmente, e che il contatto con i pazienti o con la realtà clinica vi ha completamente fatto cambiare?
Risponde: Emanuele Gruppioni, Direttore tecnico Area di ricerca
Sì. I nostri partner nella robotica, entrando in contatto con i pazienti, hanno radicalmente cambiato prospettiva. Hanno capito che non stavano costruendo semplicemente qualcosa bensì qualcosa per qualcuno. Non si tratta solo di una macchina, ma di una soluzione per una persona.
Questo ha cambiato anche il modo di progettare: non basta che un dispositivo sia tecnicamente valido, deve essere vivibile, intuitivo, integrato nella quotidianità. L’interazione umana è diventata parte del nostro metodo.

- Quando pensate al futuro: quali sono le sfide più ambiziose che vi siete posti sull’uso dell’intelligenza artificiale nella riabilitazione? Ci sarà spazio anche per l’apprendimento automatico personalizzato?
Risponde: Emanuele Gruppioni, Direttore tecnico Area di ricerca
Sì, ci stiamo già lavorando. Il futuro sarà fatto di AI più reattive e capaci di adattarsi, ma oggi il nostro problema principale è la sicurezza. Per esempio, una protesi per arto inferiore deve capire in tempo reale se è in fase di appoggio o slancio. Se sbaglia interpretazione, il paziente rischia di cadere. L’AI lavora su base probabilistica, e un errore anche solo nell’1% dei casi è inaccettabile. Stiamo sviluppando sistemi di controllo ridondanti per aumentare l’affidabilità. E guardiamo con attenzione alle soluzioni bio-robotiche: dispositivi che si interfacciano con i nervi capaci di diventare un’estensione vera e propria della persona. Il futuro è l’embodiment tecnologico.
- Visto il ruolo che ricopre, che importanza riserva alla comunicazione strategica per valorizzare il lavoro svolto e rafforzare il legame cittadini-istruzioni?
Risponde: Simona Amadesi, Responsabile della Comunicazione del Centro Protesi INAIL
La comunicazione è fondamentale. È ciò che permette l’accessibilità dell’innovazione, ma anche la cultura dell’inclusione.
Quando ho iniziato, oltre 30 anni fa, la disabilità veniva comunicata o in chiave tragica (il “povero disabile” che non riesce ad uscire di casa) o eroica (lo sportivo senza un arto che partecipa ugualmente alle gare). Oggi cerchiamo di raccontarla con normalità, mostrando la persona e non la condizione. La ricerca è uno strumento potente, perché raccontare esoscheletri o protesi avanzate attira interesse e cambia lo sguardo: mostra una disabilità tecnologica, autonoma, attiva.
Comunicare bene significa trasferire valore sociale, e il nostro lavoro pubblico ha anche questo dovere: dare senso a ciò che facciamo, per costruire un futuro più equo, informato ed inclusivo.
Ho avuto la fortuna di lavorare in una struttura in cui il valore guida è l’umanizzazione della protesi. La chiave dell’intera strategia di comunicazione.
Centro Protesi INAIL: la Riabilitazione Umana, Accessibile e Tecnologicamente Avanzata
Il Centro Protesi INAIL di Budrio è un modello virtuoso di ricerca pubblica, umanizzazione della tecnologia e comunicazione etica; ciò lo rende un punto di riferimento nella realizzazione di protesi avanzate. L’intelligenza artificiale, qui, non è fine a sé: è uno strumento per mettere al centro la persona. Una visione coraggiosa, che unisce ingegnerie, medicina e cultura in un percorso che rende la disabilità un tema di innovazione e partecipazione. Un esempio concreto di come la tecnologia possa davvero migliorare la vita, quando nasce dall’ascolto e si sviluppa con cura.
