Ray Kurzweil, ex ingegnere di Google, futurologo prolifico e vincitore della Medaglia Nazionale della Tecnologia nel 1999, ha rilanciato una previsione estrema:
entro il 2030 l’umanità potrebbe raggiungere l’immortalità biologica grazie alla convergenza dell’intelligenza artificiale (IA), la genetica e le nanotecnologie
Da tempo Ray Kurzweil anticipa progressi tecnologici sorprendenti, come la vittoria di Deep Blue su Kasparov nel 1997 o l’era degli smartphone, e ora punta dritto alla scienza dell’immortalità.
Al centro di questa rivoluzione ci sono i nanobot, minuscole macchine molecolari programmate per circolare nel nostro corpo, monitorare la nostra salute, riparare cellule danneggiate, eliminare malattie (anche tumori e placche arteriose) e in ultima analisi contrastare l’invecchiamento, fino a invertire i suoi effetti. Secondo Kurzweil, questi dispositivi non solo ci proteggeranno da malattie come il cancro o l’Alzheimer, ma potrebbero addirittura invertire i processi dell’invecchiamento biologico. In altre parole: ringiovanire dall’interno, in modo permanente. Un sogno antico quanto l’uomo stesso, ma che oggi sembra avvicinarsi sempre più al regno della possibilità tecnica
Ray Kurzweil e la singolarità tecnologica: l’uomo del futuro tra IA e nanobot
Kurzweil sostiene che, già nella prima metà dei 2030, entreremo nella “terza fase” dell’estensione della vita: dopo i farmaci e i biotecnologici, sarà la nanotecnologia a rendere superflui gli organi biologici, sostituendoli con sistemi riparatori interni.
Parallelamente, la stessa Kurzweil indica nel 2029 l’anno in cui l’IA supererà il test di Turing, arrivando a una capacità cognitiva indistinguibile da quella umana l’anticamera della singolarità tecnologica.
Nel suo nuovo libro The Singularity Is Nearer (2024), l’autore ribadisce le tappe clou: IA al livello umano nel 2029, fusione tra umano e macchina e crescita esponenziale dell’intelligenza entro il 2045, fino a un “aumento di un milione di volte”
Il risultato? Un essere umano potenziato: accesso istantaneo alla computazione cloud, memoria espansa, percezioni sensoriali amplificate, e la possibilità di “uploadare” mente e ricordi e persino di trasferirli su robot o avatar digitali in caso di morte biologica — un’autentica replica digitale della propria coscienza.
Ciononostante, l’ipotesi di un’immortalità effettiva resta controversa. Sebbene i nanobot siano già utilizzati sperimentalmente per veicolare farmaci contro tumori, siamo ancora lontani da robot molecolari autosufficienti nei nostri corpi. Molti scienziati mettono in guardia: la complessità biochimica e fisiologica umana potrebbe rallentare l’arrivo di questi sistemi, senza contare i rischi etici, sociali e regolatori
Inoltre, l’aspetto distributivo di sempre rimane un nodo: l’immortalità sarà un lusso per pochi o un diritto condiviso?
L’immortalità renderebbe obsolete molte strutture sociali esistenti, economia, pensioni, relazioni, persino l’arte e il senso della vita, che da sempre poggiano sulla brevità della nostra esistenza.
Eppure Kurzweil risponde con ottimismo: il progresso tecnologico ha una logica esponenziale, non lineare e ogni scoperta alimenta le successive.
Le tecnologie difensive (come la regolamentazione delle nanotecnologie) e quelle etiche, secondo lui, dovranno procedere di pari passo
Forse è questa la vera domanda che dobbiamo porci: siamo pronti ad affrontare l’idea di vivere per sempre? Perché se la tecnologia ci darà questa possibilità, dovremo decidere, come individui e come specie , cosa significherà davvero essere umani in un’epoca in cui anche la morte potrebbe diventare obsoleta.