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Alberto Gelpi: l’arte di emozionare in 30 secondi

Il mio obiettivo è quello di raccontare emozioni, far riflettere e sorridere. In un film, un documentario o anche nei soli 30 secondi di uno spot.
Questo il traguardo di Alberto Gelpi, regista pubblicitario e autore con la passione per le storie, che Just Baked ha incontrato per ascoltare la sua testimonianza.

Partiamo dall’inizio del tuo percorso formativo: come hai scoperto di essere appassionato di questo lavoro e che questa sarebbe stata la strada che volevi seguire?

Col senno di poi ho scoperto di aver fatto la mia prima regia quando ero un ragazzino, avevo 16 anni e lavoravo nel mondo dei videogiochi. Curai i primi full motion video per i videogiochi, era un società tedesca e il videogioco venne esportato anche in America, inconsapevolmente fu la mia prima regia.

Arrivo dal mondo della grafica e dell’immagine e il tempo mi ha portato a far sì che l’immagine fluisse. Studiai montaggio video partendo dalla Trucam, per cui sistemi analogici dove fare un taglio non era premere un tasto, era tagliare, mettere lo scotch e via dicendo. Era una scienza esatta: dovevi capire dove e perché tagliare e ho scoperto che, nonostante avessi delle capacità nella grafica 3d, il montaggio nell sua semplicità era un’arte in cui potevi far fluire qualsiasi messaggio, grazie all’accostarsi di sequenze di immagini, perché giocava sulle sensazioni. Era molto meno appariscente tecnicamente ma mi innamorai perdutamente di quest’arte perché riuscivi ad indirizzare le emozioni di chi guarda.

Ho lavorato come montatore pubblicitario per 10-12 anni e lo faccio anche attualmente. Il passaggio alla regia non fu immediato perché avevo molto rispetto dei maestri e mi piace citare Alfredo Angeli che fu in assoluto il mio primo maestro, colui che mi ha insegnato tanti segreti portandomi sul set. Quindi il passaggio fu un po’ complicato poi però per una serie anche di accadimenti personali proprio questi maestri mi hanno spinto dicendomi “ti abbiamo dato le scarpe, adesso corri”.

Siamo abituati a percepire la figura del regista come quella standard del regista cinematografico, che ha tanto materiale girato e deve gestire i tempi di un lungometraggio. Quali sono le differenze rispetto al regista pubblicitario? Si possono considerare due lavori completamente diversi?

Sono due modi di interpretare la comunicazione che sono sicuramente diversi. Il regista pubblicitario in un’inquadratura, in un movimento di qualche secondo deve lanciare un’emozione immediata, quando si progetta uno spot ci si deve confrontare con un secondaggio – 30 secondi, 60 nelle campagne più lunghe – e non con un minutaggio e questo cambia radicalmente l’approccio al prodotto. Vale anche per il montaggio, devi entrare nell’ottica che nel lungometraggio con storytelling lungo il messaggio è più articolato; la bravura del regista pubblicitario deve essere di filtrare le emozioni in poche sequenziali inquadrature brevi.

Non tutti i registi pubblicitari sono stati in grado di girare lungometraggi e viceversa grandi registi sul pubblicitario fallivano, perché sbagliavano i tempi:nel dilazionare i tempi si riesce a gestire un progetto più lungo, mentre il passaggio contrario è molto più difficile.

Partendo dai problemi narrativi del regista puoi citare un progetto in cui sei stato coinvolto che può essere paradigmatico o su cui hai dovuto sudare particolarmente per portarlo a termine?

Sudare sempre! Perché chi non è arrivato a livelli molto alti deve fare di necessità virtù, che significa non prescindere mai dal messaggio finale. Non sarai mai giustificato perché non hai avuto il numero di persone giusto nella troupe, questo non deve mai essere un alibi da sfruttare.

Tra i progetti che mi piace citare ci  sono i cosiddetti speculative: gare internazionali nate da creatività semplici, quindi fatte con poco, ma per grassi brand. Per esempio quello per Hagen Dasz (1) che è arrivato in shortlist a Shanghai a un concorso internazionale, che è nato da un’idea semplice e con i suoi tagli, la sua ritmica e con due bravissimi attori teatrali si è riusciti a creare un piccolo filmato sempilce ma emozionante in cui mi riconosco molto, è un modo di narrare per emozioni che io adoro.

Prima stavamo parlando di quanto la tecnologia abbia cambiato la comunicazione, i contesti, i linguaggi, i costi, tutto quanto. Nel tuo caso quali sono un aspetto fortemente innovativo che ti ha molto avvantaggiato e uno che invece tendi a schivare perché ti blocca?

La tecnologia ha dato nuove opportunità e ha abbassato le barriere di entrata su un mercato in cui prima avere grossi budget a disosizione faceva la differenza. Abbassare le barriere ovviamente significa anche abbassare la professionalità, perché tutti – o meglio tanti – possono fare tutto.
Una cosa che non mi piace è la ricerca dell’individualità perché costa meno, cioè una serie di professioni vengono incorporate in una figura unica quando prima c’era rispetto per le diverse professioni: questa è un po’ la guerra dei costi che va contro la professionalità a mio avviso. E’ giusto che il regista, che è un po’ il direttore d’orchestra, conosca bene i ruoli che deve dirigere quindi non è giustifcata l’ignoranza su alcune cose anche se magari non si fanno concretamente.

Il digitale porta molto a sperimentare non avendo limiti di tempistiche. E’ inevitabile che se uno si rende conto di ogni mestiere che c’è dietro l’audiovisivo il digitale diventa uno strumento meraviglioso. Lo amo come modalità espressiva che ti permette di fare cose che prima non potevi fare. Basta pensare poi alle dimensioni più piccole degli strumenti con cui lavoriamo: ormai possiamo girare in 4k con le Reflex. Il lato negativo è il poco rispetto del lavoro creativo e il legare tutto ai costi quando poi la creatività è difficilmente stimabile.

Se oggi qualcuno ti chiedesse un consiglio su come arrivare a fare il tuo lavoro cosa gli diresti?

Sono consigli che do anche a me stesso: non trovarsi alibi mai, ricordarsi che un’emozione in video può essere data anche mostrando una persona che  beve un caffè. Non sempre o si ha l’idea geniale oppure è meglio non fare niente: fate sempre qualcosa, cercate di sperimentare, più fate, più capirete dove non pensavate di sbagliare e dove potete arrivare. Questo è il consiglio che anch’io mi do tantissime volte.
Poi sono  i progetti che uno fa per divertirsi , per condividere una passione che sono quelli che a me personalmente hanno sempre lasciato di più e che mi hanno fatto crescere nella mia carriera. Non pensate sempre che il lavoro arrivi solo su commissione.


Alberto Gelpi è regista, montatore, autore.

Nasce a Roma nel 1978. Inizia la sua attività professionale molto giovane, come grafico 3d per la realizzazione di videogames ed effetti speciali per film e commercial. Lavora con grandi nomi della pubblicit italiana e nel 1997 fonda la Dreamlike Visions, società di post produzione  che opererà fino al 2006. Come montatore firma molte campagne pubblicitarie e documentari. Il 2007 è l’anno dell’effettivo passaggio alla regia. Si specializza in emotional and visual storytelling, lavorando sia in campo documentaristico che pubblicitario per importanti brand e compagnie internazionali (Expo2015, Bose, AT&T, Tata Communication, Haagen Dazs ). Nel 2011 scrive la sceneggiatura del cortometraggio “Follia in LA MAGGIORE”, selezionata alla rassegna “Racconti di Cinema” di Venosa (Pz). Nel 2014 scrive e dirige una serie di documentari per RaiDue sul mondo degli animali. In questi anni ottiene riconoscimenti in prestigiosi festival internazionali fra cui Cannes, Barcellona, Shanghai.

albertogelpi.com

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