http://www.youtube.com/watch?v=Ee66EV23Do8
GUITAR MAN
Solitario e schivo, senza mai scendere a patti con l’industria e il mainstream, in un ranch del sud della California con la sua chitarra e i suoi animali.
Una vita semplice ma sorprendente quella di John Weldon Cale, in arte J.J. Cale, autentico rocker statunitense nato nel 1938 a Oklahoma City e scomparso improvvisamente pochi giorni fa a 74 anni quando il suo cuore ha cessato di battere.
Le vibrazioni della sua chitarra, però, continueranno a risuonare nei brani di Mark Knopfler e dei suoi Dire Straits, di Eric Clapton (suo mentore) e degli altri grandi “trovatori” della canzone country, quali l’amico Leon Russell, i songwriter Neil Young, Johnny Cash, Tom Petty, Captain Beefheart insieme alle stelle del pop Santana, Deep Purple, Brian Ferry e Steely Dan, che hanno attinto a piene mani dello straordinario e originalissimo stile “californian bluesy” del talentuoso chitarrista.
Alfiere del Tulsa Sound, J.J. Cale all’inizio degli anni sessanta fatica a trovare la strada del successo e decide di trasferirsi a Los Angeles per trovare fortuna, senza alcuna intenzione di abbandonare il suo stile originale fatto di country, blues, jazz e rockabilly, tanto affascinante quanto difficile per le radio e le chart statunitensi dell’epoca.
Le sue ballad sanno di strade polverose, raccontano storie laide di frontiera, amori consumati nei tanti non-luoghi delle periferie americane, incontri, amicizie e vendette: “Se non fosse stato per Eric Clapton probabilmente oggi starei vendendo scarpe” dichiarava J.J. n una delle sue ultime e sempre più rare interviste, al pari delle sue esibizioni live (l’ultima in italia nel marzo 2012 a Roma).
Proprio grazie a Slowhand alcuni brani firmati dal bluesman di Oklahoma quali Cocaine, After Midnight e Travelin’ Light diventeranno delle hit dell’artista inglese, e permetteranno a J.J. di strappare il primo insperato contratto discografico nel 1970 e di accedere ad una sala di incisione.
Sarà l’inizio di una lunga carriera, sempre contraddistinta dall’indipendenza, dalla scarsa propensione al compromesso, alla ribalta e ai riflettori, che lo porterà a incidere 13 album in poco più di quarant’anni.
Dotato di un tocco magnetico e di un pizzicato morbido e vellutato, il sensibile fingerpicker di Tulsa non ha mai smesso di ammaliare con la sua voce magnetica e il suo mood introspettivo, tale da farlo paragonare a Leonard Cohen per la sua capacità di essere allo stesso tempo artista, chitarrista, poeta.
La prolifica collaborazione con Eric Clapton lo porterà ad incidere The Road To Escondido, disco a quattro mani premiato con il Grammy come miglior disco blues contemporaneo nel 2008, e Roll On, l’ultimo lavoro solista di 4 anni fa.
La sua musica resterà per sempre così come il ricordo del suo sguardo vitreo, raggelante, fisso e imperscrutabile, rivolto al deserto, alla frontiera, alla maestosità della natura.
Fabrizio Montini Trotti | Bake Agency