Come si passa dal lavoro nel mondo del cinema come montatore e animatore a quello di illustratore? Giordano Poloni ha cambiato vita e lavoro per dare spazio alla sua grande passione per il disegno.
L’abbiamo intervistato per scoprire il suo stile e fare un piccolo viaggio nel suo mondo creativo.
Come hai iniziato a lavorare come illustratore?
«La mia attività di illustratore inizia, quasi casualmente, sulla soglia dei trent’anni. Ho passato gli anni precedenti lavorando nel campo della pubblicità televisiva, dopo essermi laureato in una scuola di cinema, cosa che mi ha appassionato molto negli anni ma che poi non ha fatto per me. Ogni due anni decidevo infatti di lasciare il lavoro precedente e cambiavo, anche per curiosità, sempre all’interno dello stesso settore, prima montatore, poi animatore, poi compositor. Tutti lavori interessantissimi dal punto di vista tecnico e formativo che continuano a segnare il mio modo di lavorare.
Un breve periodo di disoccupazione mi ha lasciato il tempo per mettere le mani su una cosa per cui avevo sempre avuto passione senza mai praticarla, il disegno. Inizio a disegnare, spesso di notte, dove mi trovo ad essere più creativo. Come dicevo, ero sulla soglia dei trent’anni, quindi questa cosa sin dall’inizio si è sviluppata non tanto come un hobby ingenuo ma come un impegno molto forte nel cercare di trasformarlo in un lavoro.
Fin da subito ai miei disegni ho imposto la forma tipica di una copertina per libri o riviste, quello era il mio intento, nessuna indecisione. Ho prodotto tantissimo e dopo alcuni mesi già mi ero costruito un portfolio abbastanza valido da qui sono iniziate le prime collaborazioni che con il tempo mi hanno portato a farlo diventare il mio lavoro.»
Da dove viene la tua ispirazione?
«In quanto amante del fumetto e dell’illustrazione l’ispirazione mi è venuta da diverse fonti, ho amato e amo ancora l’arte di James Jean, Daniel Clowes, Gipi, Mattotti, e più direttamente tra gli illustratori Emiliano Ponzi e Alessandro Gottardo. Tra gli artisti visivi ti farei i nomi di Henri Rousseau, Edward Hopper e David Hockney. Diciamo che non necessariamente mi influenzano, ma hanno sicuramente caratterizzato il mio immaginario.
La mia ispirazione può nascere da qualsiasi cosa: dal mio passato nell’ambiente pubblicitario e dagli studi cinematografici, con i loro influssi sul taglio delle inquadrature, le luci e la composizione del quadro. Mi interessano soggetti che nonostante la cristallizzazione che subiscono nella forma dell’illustrazione nascondono un possibile sviluppo narrativo e lasciano libero sfogo alla fantasia. Altra cosa fondamentale è l’utilizzo del colore come mezzo espressivo che diventa parte insostituibile e non meno importante del contenuto.»
Questo lavoro lo hai consapevolmente scelto, quindi, non si è trattato di un incontro casuale…
«Non essendo molto bravo con le parole la scelta di lavorare nel campo dell’immagine è stata decisamente obbligatoria, sentendo la necessità in qualche modo di poter esprimere un mio mondo e dare fondo alle mie fantasie. Non nego che mi piacerebbe ci fosse nel breve futuro uno sviluppo legato anche al campo narrativo, ma non mi sbilancio. La fortuna di aver fatto di una passione il mio lavoro resta comunque il gradino più alto della soddisfazione personale.»
A cosa stai lavorando al momento?
«Ho la fortuna di lavorare con committenti di mezzo mondo, principalmente da Europa, Canada e USA, per lo più per soggetti editoriali: le copertine di riviste, libri o locandine restano la mia passione, quindi quando mi capita di lavorarci sono molto contento. Lavoro molto per commissioni editoriali e più saltuariamente per quelle commerciali. Mi sono un po’ incastrato nel filone architettonico che molto spesso mi viene richiesto, illustrazioni con scorci di città, palazzi, case o altro: non vorrei finire per essere etichettato come un illustratore che fa solo quello.»
Che direzione sta prendendo il tuo stile?
«Sto cercando in quest’ultimo periodo di migliorare tecnicamente per variare, anche se non è molto semplice, la maggior parte dei clienti richiede qualcosa che già conosce, quindi variare stile è difficilmente concesso e trovare il tempo al di fuori del lavoro è altrettanto complesso. Ma confido in ogni caso nella mia buona volontà, nella ricerca di uno stile più dinamico e complesso.»